Ripensare la democrazia con l'organizzazione di comunità. Un caso studio da Città del capo
Come si possono rappresentare gli interessi di chi è “senza-potere” ai tavoli dei decisori politici e dei grandi dell’industria? Come fare a rinsaldare la partecipazione attiva che fa della democrazia il governo del popolo? È possibile rafforzare i legami di fiducia tra i membri di una comunità che vivono problemi comuni? Un movimento sociale nato a Città del Capo prova a rispondere a queste domande attraverso la propria esperienza di organizzazione di comunità.
Negli anni '30 del ‘900, nella periferia marginalizzata, industriale e multiculturale di Chicago lo scrittore e attivista Saul Alinsky ha provato a elaborare il community organizing, un insieme di pratiche politiche e sociali volte a creare e a rafforzare i legami di fiducia tra i membri della comunità di interesse. La metodologia nasce per promuovere azioni di cittadinanza attiva per rafforzare una rete comunitaria capace di rappresentare le proprie istanze al tavolo dei decisori politici ed economici al fine di ottenere dei risultati concreti. Nel corso del 1900, il community organizing si è sviluppato e ramificato in molteplici correnti, fino a tradursi globalmente in accordo a diversi contesti culturali, politici, economici e sociali.
Il mio progetto di tesi di ricerca in cooperazione internazionale si inserisce in questo percorso di traduzione della metodologia, indagando rispettivamente il caso italiano della periferia Nord di Torino e il caso sudafricano alle porte di Città del Capo. Qui, in particolare, intendo raccontare questa seconda realtà, dove dal 2016 un movimento sociale chiamato Reclaim the City (RTC) sta organizzando la comunità abitante in risposta a fenomeni di gentrificazione (il progressivo cambiamento socioculturale di un'area urbana da proletaria a borghese, NdR) e segregazione razziale ed economica. Reclaim The City nello stesso anno ha occupato una ex-struttura ospedaliera in Woodstock, oggi chiamata Cissie Gool House (CGH), diventata casa per circa mille persone.
La prima volta che ho sentito parlare di Cissie Gool House è stato durante un’intervista online con uno dei leader del movimento di Reclaim The City. In quel periodo, stavo contattando diverse organizzazioni della società civile sul territorio per la ricerca che stavo conducendo.
Io abito a Woodstock, in un ex-ospedale che si chiama Cissie Gool House. Faccio parte di Reclaim the City, ma indosso anche altre vesti come quella di Woodstock Residents Association e altre organizzazioni civiche che si sono alleate all'interno della nostra comunità.
(Intervistato #3 RTC Chapter leader e residente a CGH, 04-08-21).
Da questo incontro scaturirono tante domande: com’è organizzata Cissie Gool Hause? Quali pratiche del community organizing Reclaim The City ha adottato per rafforzare la capacità di azione della comunità locale? Con quali difficoltà e quali risultati?
Per cominciare, i residenti di Cissie Gool Hause organizzano la propria vita intorno agli impegni quotidiani di convivenza, di famiglia, di lavoro e di scuola. Chi ha tempo ed energia partecipa anche alle attività organizzate dal movimento per forgiare legami relazionali e promuovere momenti di formazione indispensabili per progettare insieme nuove campagne di azione. In particolare, i leader e i collaboratori di Reclaim The City seguono una doppia strategia comune. Nel breve periodo si impegnano per costruire una risposta concreta al disinteresse che il governo locale riserva agli eredi della segregazione razziale ed economica dell’Apartheid.
Nel lungo periodo, invece, si battono per rilanciare una cultura democratica “radicale”, cioè una cultura che non dia per scontata una struttura del potere verticale, ma che sia capace di rinvigorire la partecipazione attiva degli abitanti di un territorio e getti le basi per la costruzione di una società democratica responsabile, che garantisca a ognuno, senza discriminazioni, i propri diritti costituzionali.
Per questo motivo, Cissie Gool Hause può essere considerato un prezioso esempio di cittadinanza attiva e di organizzazione comunitaria. Nel community organizing, infatti, le azioni politiche e sociali, vengono intese non solo come strumenti di espressione del dissenso comune, ma proprio come nuovi spazi “inventati” (Miraftab 2004) capaci di ricostituire passo per passo il cuore della democrazia.
Certamente le difficoltà non mancano: dalla manutenzione delle infrastrutture, alle tensioni interne, fino al difficile tentativo di decostruire le narrazioni di criminalizzazione. Tuttavia, il potere che le persone generano quando sono protagoniste democratiche delle proprie comunità si manifesta nella rigenerazione della partecipazione politica, nel sostegno delle istituzioni comunitarie e nella promozione di regolamenti di coprogettazione, in grado di coltivare responsabilità condivise con i decisori politici. La democrazia diventa così una pratica quotidiana di ascolto, relazione e negoziazione ancor prima di una forma di governo, qualcosa di indispensabile per vivere le realtà complesse che oggi più che mai abitano i centri urbani dei nostri tempi.