Rifiuto a chi? Riduciamo la nostra impronta idrica in ottica di economia circolare
Il concetto di waste water, così come quello di waste, dovrebbe diventare obsoleto, perché nelle acque reflue sono disciolte o in sospensione delle sostanze che potrebbero avere un valore di per sé o che potrebbero essere separate dal solvente, per poterlo recuperare. Questo in parte già avviene attraverso i sistemi di trattamento centralizzati, ma per ridurre la nostra impronta idrica dovremmo adottare circuiti più piccoli di trattamento, dove le sostanze disciolte sono più concentrate e quindi più facilmente riutilizzabili.
Il nostro sistema “acqua” segue un approccio tipicamente lineare di “risorsa-prodotto-rifiuto”: in generale l’acqua viene presa da falde o invasi, resa potabile, distribuita e utilizzata - anche per usi non alimentari - e infine c’è la fase di raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue (“waste water”) in corpi idrici che di solito finiscono in mare. Mentre per gli oggetti questo approccio lineare e unidirezionale è messo in discussione, non si parla ancora abbastanza di acqua nel contesto dell’economia circolare.
Una grossa barriera, per il recupero dei materiali, è il superamento del concetto di waste, che è alla base di tutta la regolamentazione e la politica dei rifiuti/materiali e della loro gestione. Succede lo stesso anche per la “waste water”?
Per il termine “waste” esiste una definizione a livello comunitario: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi; di conseguenza si lavora su come garantire l’end of waste per consentire il recupero. Non si trova invece - per fortuna - una simile definizione legale di “waste water” nei documenti di politica europea che governano la gestione delle acque.
Volendo trovarne una, ci si può riferire al Waste Water Charges Act tedesco, che definisce la “waste water” come “acqua, le cui proprietà sono state cambiate da usi domestici, commerciali, agricoli o altri”. Questo riconosce che la sostanza acqua permane, ma vi si sono aggiunte sostanze generate dall’uso, che potrebbero essere di interesse per qualcuno. Non si ha un rifiuto, ma un materiale grezzo (raw material) che è possibile trattare secondo le diverse esigenze: dall’estrazione di sostanze di interesse, alla purificazione adattata alle esigenze dell’applicazione successiva, che permette anche di mantenere in soluzione sostanze che sono di fatto utili all’applicazione stessa, considerando di volta in volta il livello di rischio ammissibile.
Questo è l’approccio seguito dal recente regolamento EU Regulation on minimum requirements for water reuse for agricultural irrigation, che entrerà in vigore nel 2023, e che specifica i limiti qualitativi della “waste water” (o “non conventional water”, come la definirebbe la FAO), nonché il sistema di gestione del rischio, secondo le applicazioni: acqua più pura microbiologicamente e chimicamente per le nostre fragole, meno trattata per piante ornamentali, verde urbano, ecc.
Anche noi utilizzatori dovremmo cominciare a chiederci quali siano le specifiche dell’acqua per le nostre applicazioni, essendo l’acqua del rubinetto spesso ingegnerizzata oltre necessità, se pensiamo ad applicazioni industriali non alimentari, all’irrigazione dei giardini o anche solo all’acqua sanitaria. Questo chiaramente presuppone un forte ripensamento del nostro approccio, che richiede oltre al cambio della nostra attitudine verso le acque non convenzionali anche un sistema diverso di approvvigionamento.
Posto che la nostra impronta idrica (la quantità di acqua impiegata per produrre i beni e i servizi che consumiamo, NdR) debba essere diminuita il più possibile, si può pensare di adottare sistemi che su piccola scala gestiscano il ciclo dell’acqua in loop (circuiti) chiusi con trattamenti ad hoc per le nostre applicazioni. Per esempio, un’azienda tessile potrebbe pensare di trattare le proprie acque di lavaggio eliminando solo i coloranti e ottenendo e riutilizzando un’acqua “chiara” ma con ancora disciolti quei sali che fungono da additivi per la tintura. Se invece quest’acqua fosse gestita come rifiuto e convogliata verso il sistema fognario, i coloranti risulterebbero diluiti (e non trattabili) e i sali si perderebbero.