Miele del Sahel, la produzione che riduce le disuguaglianze
Le api da miele e i prodotti dell’alveare sono il filo conduttore per lo sviluppo sostenibile in Paesi emergenti. La ricerca e il trasferimento di conoscenza agli apicoltori tradizionali delle zone rurali dei Paesi sub-sahariani consente alle comunità locali coinvolte di incrementare sensibilmente le loro capacità produttive e il loro reddito riducendo sia i rischi di carestia sia i fenomeni migratori nel mondo.
Chi sono le api da miele e come si possono allevare? Cosa sono i prodotti dell’alveare e come si possono ottenere? Quali sono le problematiche nell’allevamento delle api?
Per gli apicoltori e le apicoltrici che vivono nei paesi occidentali è relativamente semplice rispondere a queste domande, ma non è così scontato per chi vive nelle aree rurali di paesi emergenti.
Attività di ricerca condotte in Burkina Faso, Niger e Mali, nell’ambito degli obiettivi del CISAO (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Cooperazione Tecnico Scientifica con l’Africa dell’Università di Torino) di rendere efficace la collaborazione con i partner africani nel campo della ricerca e dell’educazione-formazione, hanno consentito di studiare le popolazioni di api da miele locali, le tecniche di utilizzo degli alveari tradizionali, le modalità di raccolta e confezionamento dei prodotti, le minacce per le api. Gli incontri con gli apicoltori sono stati determinanti per analizzare lo stato dell’arte dell’apicoltura a livello locale, entrando in sintonia con le persone dei villaggi che spesso parlano soltanto dialetti.
“Ma io ho visto quello che tu hai raccontato ieri!” dice un mattino il capo villaggio, parlando in Bambara, porgendo una bacinella smaltata con favi contenenti miele, covata e api adulte che lui è andato a prelevare di notte in uno dei suoi alveari tradizionali.
Come un colpo di flash che illumina una scena, l’aula si anima di una sintonia mai vista in precedenti occasioni e, come se non esistessero barriere linguistiche, il confronto sui più diversi temi dell’apicoltura scorre intenso e veloce per tutta la mattinata. Si osservano dal vivo i diversi stadi di sviluppo della covata e le api che, completato lo sviluppo fuoriescono dai favi, si analizza la struttura del favo e come lo stesso viene utilizzato dalle api per allevare la covata e immagazzinare le scorte di miele e polline, si osserva la differenza tra il miele appena raccolto e quello deumidificato e opercolato dalle api. Grazie a questo episodio è stato possibile creare un rapporto di fiducia che nei giorni successivi ha consentito di raccogliere le esperienze e le problematiche concrete degli apicoltori del villaggio e di trasferire loro conoscenze per migliorare l’attività.
Arrivata l’ora di pranzo, l’insegnante si sofferma per qualche minuto a spegnere il computer e uscendo dalla sala trova tutti gli apicoltori locali radunati in cerchio sotto un albero di mango, con la bacinella al centro, che dopo aver fatto scarpetta nel miele che era colato sul fondo della bacinella, mangiano i favi spezzettati condividendoli tra loro. “Ma non dovete mangiare i favi con covata, altrimenti poi non ci saranno le api per raccogliere il miele!” dice loro, ottenendo come risposta “Ma sono squisiti!” accompagnata da un sorriso colmo di soddisfazione.
Per chi come me fa ricerca sul campo, è fondamentale operare insieme alla comunità locale, con la quale occorre stabilire un rapporto di fiducia per ottenere risultati concreti. Ecco che, per prelevare campioni di api da alveari tradizionali collocati su alberi sparsi nella savana, occorre prima parlarne con il capo villaggio, poi avvisare le persone che si incontrano nel territorio, ed è così che è stato possibile evitare inconvenienti anche quando le suscettibili api africane di una colonia, disturbate dal nostro intervento, hanno punto il medesimo capo villaggio che si era trovato a transitare nelle vicinanze con la sua motocicletta. Se il capo villaggio non fosse stato avvisato sarebbero sorti seri problemi, anche di incolumità personale, per le persone coinvolte.
Con il medesimo approccio è stato possibile ricercare i parassiti degli alveari, valutare la loro presenza e fornire indicazioni agli apicoltori sulla loro biologia e incidenza sulle colonie di api, e dunque informazioni per azioni di contrasto agli stessi. Gli apicoltori delle aree rurali hanno una considerevole capacità di osservazione e applicano con abilità le tecniche tramandate dai loro avi e conservate gelosamente, ammantate a volte da pratiche misteriose, ma spesso non conoscono la biologia delle api da miele e degli altri organismi che interagiscono con le stesse.
Il trasferimento di conoscenza per migliorare tecniche di allevamento e materiali utilizzati, individuando le modalità per favorire l’accettazione di nuovi materiali e sistemi di lavoro, è stato un altro tra i nostri temi di ricerca. Per raggiungere questo obiettivo, anche fornendo attrezzature e abbigliamento protettivo moderni, si è lavorato sul campo con gli apicoltori utilizzando arnie moderne a favo mobile e illustrando le modalità di lavoro, spiegando come seguire lo sviluppo delle colonie di api e verificare lo stato di salute delle stesse, mostrando la facilità di estrarre i favi di miele senza danneggiare le api e come ottenere maggiori risultati produttivi rispetto alle arnie tradizionali. Sono state trasferite inoltre attrezzature e competenze per la lavorazione e il confezionamento del miele. Attività condotte congiuntamente sul campo, e il confronto dei risultati ottenuti utilizzando tecniche diverse, hanno consentito ai gruppi di apicoltori di ottenere importanti risultati in brevissimo tempo.
Il miele, prima venduto tal quale nei villaggi della savana, ha raggiunto un livello quali-quantitativo tale da poter essere messo in vendita in città con risultati economici decisamente più soddisfacenti, con un impatto positivo sulle condizioni di vita delle comunità rurali. Migliorare le condizioni economiche delle popolazioni dei paesi emergenti è un obiettivo determinante per ridurre le disuguaglianze e le tensioni migratorie a livello mondiale.