Come sopravvivono le piante ai cambiamenti climatici? Un biosensore illumina i segreti degli ormoni vegetali
Gli strigolattoni sono ormoni vegetali che modulano molte interazioni delle piante con l’ambiente, incluse le strategie di adattamento alla siccità. Tuttavia, studiarne l’attività biologica non è facile. Con il progetto StrigoSense, puntiamo a sviluppare un nuovo biosensore che permetta di visualizzare l’attivazione delle risposte agli strigolattoni nelle piante in modo economico, versatile e non invasivo. Comprendere il loro ruolo nella fisiologia vegetale ci aiuterà a sviluppare soluzioni innovative per l’agricoltura che proteggano le piante coltivate dai cambiamenti climatici.

Le piante sono sessili: questo significa che non possono spostarsi, sono letteralmente radicate nel luogo in cui si trovano e, a differenza della maggior parte degli animali, non possono andare in cerca di un ambiente più favorevole e ricco di nutrienti, allontanarsi dai predatori e mettersi al riparo da stress quali temperature estreme, carenza o eccesso di acqua, o presenza di elementi tossici. Rimanendo ferme nello stesso luogo, per trovare un equilibrio con l’ambiente fisico e gli organismi con cui interagiscono, le piante possono solo regolare la propria fisiologia, crescita e riproduzione. Come fanno?
Le piante sanno attingere molto velocemente alle loro immense risorse metaboliche per trovare gli strumenti giusti: questi appartengono, a grandi linee, a due categorie.
Da una parte, le piante hanno nel loro insieme un repertorio impressionante di metaboliti specializzati (si stima possano essere fino a un milione): sono i prodotti di alcuni processi metabolici specifici, con cui attraggono gli insetti benefici e allontanano gli erbivori, si difendono dai patogeni, comunicano con i loro simbionti e si schermano dagli agenti fisici aggressivi.
Accanto a questi, che variano da specie a specie, ci sono le molecole del cosiddetto ‘metabolismo primario’, quello che tutte le piante condividono e che è necessario per i processi vitali fondamentali. In questa seconda classe troviamo gli ormoni vegetali che, come quelli degli animali, regolano la crescita dell’organismo e il suo sviluppo: diverse classi di ormoni sono responsabili, ad esempio, dello sviluppo di germogli laterali, fusto e radici, e della formazione e germinazione dei semi.
Alcuni ormoni vegetali, come gli strigolattoni, partecipano sia ai normali processi di sviluppo della pianta, sia alle risposte adattative agli stimoli ambientali, che possono essere di natura biotica (come i microrganismi del suolo) oppure abiotica (come la carenza di acqua). In particolare, gli strigolattoni permettono alle piante che hanno già sperimentato episodi di siccità di rispondere più rapidamente a episodi successivi.
Comprendere il modo in cui questi ormoni influenzano lo sviluppo e regolano le risposte delle piante al loro ambiente ci permetterebbe non soltanto di illuminare aspetti fondamentali della biologia vegetale, ma anche di trovare soluzioni che rendano le piante coltivate più resistenti di fronte ai cambiamenti climatici e ci permettano di aumentare in modo sostenibile le rese agricole.
Studiare gli ormoni, però, non è facile: le loro concentrazioni nelle piante sono bassissime, e si tratta inoltre di molecole mobili, che possono essere sintetizzate in un organo e andare a esercitare il loro effetto in un altro.
Gli strumenti più sofisticati a nostra disposizione sono i biosensori: si tratta di sistemi molecolari integrati nelle piante, capaci di percepire selettivamente gli ormoni che desideriamo studiare e di produrre come risposta un segnale che possiamo misurare.
Il biosensore viene normalmente integrato nella pianta come inserto di DNA, entrando a far parte del suo corredo genetico ed essendo così presente stabilmente in tutte le cellule. Questo porterà poi alla produzione di proteine che reagiscono in modo specifico con gli ormoni che vogliamo studiare e che in risposta a questo riconoscimento emettono un segnale.
LEGGI ANCHE
Abili transformer. Il ruolo chiave degli strigolattoni contro il cancro
A seconda del sistema sperimentale scelto, i segnali possono essere di diversa natura: quelli più comuni sono basati su fluorescenza e bioluminescenza, che possono essere facilmente osservate con strumenti ampiamente disponibili quali microscopi e luminometri. Un biosensore ideale dovrebbe dirci quali e quante cellule stiano rispondendo agli ormoni, in quali condizioni fisiologiche e ambientali queste risposte si attivino e quanto durino nel tempo. Ovviamente dovrebbe farlo senza interferire con il metabolismo vegetale. Il mio progetto StrigoSense, finanziato da una MSCA Postdoctoral Fellowship e iniziato a dicembre 2024, ha l’obiettivo di sviluppare un biosensore di nuova generazione, che soddisfi tutti questi requisiti, per seguire nelle piante l’attivazione delle risposte agli strigolattoni.
Per farlo, abbiamo unito le nostre esperienze nei campi della fisiologia vegetale e della biologia molecolare per progettare un sistema di rilevazione degli strigolattoni che possa essere accoppiato a diversi segnali in uscita. La versatilità del sistema è fondamentale, perché permette a ricercatori e ricercatrici di scegliere che tipo di segnale utilizzare, a seconda dei quesiti scientifici (ad esempio, studiare le risposte a livello di singole cellule oppure analizzare la diffusione del segnale in diversi organi della pianta), ma anche sulla base delle strumentazioni disponibili. Abbiamo privilegiato tecniche di analisi a basso costo basate su fluorescenza e bioluminescenza, evitando metodi laboriosi e invasivi.
Oltre agli aspetti tecnici di architettura del sensore, un’importante novità proposta dal progetto riguarda il fatto che per la prima volta si usi un biosensore degli strigolattoni non solo in organismi modello, ma anche in una specie coltivata, il pomodoro: è così che la ricerca di base porta allo sviluppo di soluzioni innovative per l’agricoltura.