Il sereno dopo la tempesta. Dalla gestione responsabile del bosco nuova linfa per Fiemme
Come il vuoto degli schianti degli alberi provocati dalla tempesta di Vaia ha dato vita a nuove nicchie ecologiche, la crisi del mercato del legno, e la conseguente rivalutazione dei servizi eco-sistemici offerti dai boschi, stanno dando occasione alle comunità alpine, economicamente colpite dal disastro, di ri-orientare le loro pratiche selvicolturali, riscoprendo un nuovo valore nella filiera del legno, anche in un'ottica più sostenibile. Così, come nelle produzioni vinicole DOCG, la qualità diventa l'elemento cardine per legare territorio e identità sociali.
La tempesta Vaia è il più grave evento atmosferico degli ultimi trent'anni nel Nord Italia, con oltre quattordici milioni di metri cubi di alberi abbattuti. Eppure non si è trattato di un disastro ambientale perché non ha provocato danni ecologici irreparabili. Al contrario, i “vuoti” lasciati dai boschi caduti sono diventati in breve tempo nuove nicchie ecologiche per specie vegetali pioniere, insetti e animali. Il vero disastro si è verificato a livello sociale ed economico, mettendo in crisi il mercato del legno. Decine di comunità hanno visto il proprio territorio pesantemente colpito, e dopo gli interventi di messa in sicurezza sono iniziati immediatamente quelli per il recupero del legname. A due anni dall'evento, il mercato è stato saturato dall'enorme quantità di legno immessa - più di dieci volte quella lavorata annualmente in Italia - provocando un forte abbassamento del prezzo.
Tuttavia, così come il vuoto degli schianti ha permesso nuove opportunità di espansione ecologica, questo “eccesso di pienezza” nel mercato ha spinto imprese e comunità a elaborare nuove strategie. In questo senso, l'esperienza della Magnifica Comunità di Fiemme (MCF) è esemplare: prima in Italia per volume di legno lavorato, questa istituzione plurisecolare si trova nel distretto trentino maggiormente colpito da Vaia.
Durante la mia ricerca etnografica in Val di Fiemme, di cui ho già in parte parlato in questo racconto, ho potuto seguire le trasformazioni più recenti di un processo iniziato negli anni Ottanta, che ha portato la comunità a cambiare il proprio modello di selvicoltura promuovendo uno sfruttamento responsabile del bosco. La MCF è la prima realtà italiana e nell'intero arco alpino le cui foreste siano state certificate da due enti internazionali: il Forest Stewardship Council (FSC) e Programme for Endorsement of Forest Certification (PEFC). Rinnovate all'indomani di Vaia, a queste certificazioni si sommano due nuove iniziative: la catena di custodia dei produttori (PEFC), che assicura la tracciabilità del legname e ne garantisce l’origine da foreste gestite in modo sostenibile; la certificazione dei servizi eco-sistemici (FSC), con cui la Magnifica Comunità di Fiemme vede riconosciuto il proprio impegno nel combattere l'emissione di gas serra nell’atmosfera, attraverso lo stoccaggio del carbonio.
La sfida della crisi climatica sta portando sempre più proprietari e gestori forestali a cambiare le proprie strategie di gestione, passando da una prospettiva del bosco orientata ai prodotti (vendita del legname), a una che consideri invece i molteplici servizi offerti dalla foresta, come la regimazione dell’acqua, la purificazione del suolo o la valorizzazione di paesaggi storici. Iniziative come la certificazione dei servizi eco-sistemici di Fiemme o, per avvicinarci a Torino, il piazzale del “legno piemontese doc” permettono di valorizzare i propri prodotti - e l'intera catena produttiva - all'interno del mercato internazionale, puntando sulla sostenibilità ecologica come qualità specifica e distintiva.
Per molti versi, assistiamo a una trasformazione simile a quella vissuta dal mercato del vino nel secondo dopoguerra, con la creazione dei terroir in Francia e delle menzioni geografiche aggiuntive in Italia, alla base del sistema DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita, un marchio italiano che garantisce l'origine geografica di un vino, NdR). Tale passaggio implica una profonda risignificazione culturale del legno: non più (o non solo) un prodotto forestale, ma una materia profondamente legata ai territori e alle comunità che vi abitano, attraverso un intreccio di valori simbolici e processi di valorizzazione.
Una panoramica delle mie ricerche in questi ultimi mesi si può trovare sulla rivista EtnoAntropologia.