Siamo pronti per la carne coltivata? Una riflessione tecno-realistica oltre i pregiudizi e le critiche morali
Carne coltivata: è possibile indagarne l’impatto alimentare, ma anche naturale, sociale e morale senza demonizzarla o esaltarla? Il nostro gruppo di ricerca Future Eating (FEAT) propone un approccio tecno-realistico dedicato alla conoscenza di questo alimento, affrontandone le ricadute socio-culturali, esplorandone gli aspetti moralmente problematici e i fattori psicologici che generano resistenze da parte di alcuni consumatori e intravedendo in questa tecnologia un possibile strumento per contrastare l’ideologia carnista.
A marzo 2023 è nato all’Università di Torino il gruppo di ricerca FEAT (Future Eating). Si tratta di un hub interdisciplinare che ha l'obiettivo di esaminare un fenomeno multi-stratificato come l’alimentazione. Tra i risultati raggiunti finora dal gruppo ci sono il lancio del sito web e alcune pubblicazioni che hanno suscitato un certo dibattito, almeno tra gli addetti ai lavori: tra queste We need an informed discussion on cultivated meat apparsa su Nature Italy ad aprile 2023 e Cultivated meat beyond bans: Ten remarks from the italian case toward a reasoned decision-making process apparsa sulla Rivista One Earth a dicembre 2024.
È proprio intorno alla carne coltivata che abbiamo concentrato i nostri sforzi provando a sviluppare una prospettiva che mi piace definire tecno-realistica, capace cioè di riconoscere le potenzialità della tecno-scienza ma, in un contesto socio-culturale polarizzato, caratterizzato da sterili esaltazioni o demonizzazioni, lontana sia dalla tecnofobia sia dal tecno-utopismo.
Il nostro obiettivo è innanzitutto far comprendere, sul piano tecnico e scientifico, che cos’è la carne coltivata, per poi esaminare le possibili problematiche di natura socio-culturale, i fattori alla base della resistenza di alcuni attori della filiera alimentare e dei consumatori alla sua introduzione, e le obiezioni morali.
Su quest’ultimo punto si è sviluppata una delle principali linee di indagine del mio iter di ricerca.
Attraverso l’analisi concettuale e un confronto serrato con altre aree disciplinari ho provato a mostrare che non esistono valide ragioni di principio per respingere la nuova tecnologia alimentare e che la costruzione di alternative più sostenibili passa anche (sebbene non esclusivamente) per l’ideazione e l’utilizzo di nuove tecniche di produzione, con l’introduzione di alimenti fino a pochi anni fa estranei alle nostre diete.
Tra le principali argomentazioni morali sollevate contro la carne coltivata, ricordo quella che fa leva sulla nozione di “natura” e quella che fa leva sulla nozione di “disgusto”. In base ad esse, l’introduzione della carne coltivata andrebbe scoraggiata in quanto prodotto innaturale o proprio perché genererebbe un sentimento di ripugnanza in una fetta non trascurabile dei consumatori.
Nel mio libro Carne coltivata. Etica dell’agricoltura cellulare (Carocci, 2024), passando in rassegna queste ed altre obiezioni morali contro la carne coltivata, ho tentato di coniugare il rigore dell’analisi etico-filosofica di matrice analitica al progetto divulgativo che, a mio avviso, dovrebbe sempre accompagnare un’opera di filosofia morale, soprattutto se si tratta di una riflessione collocabile nel campo dell’etica applicata.
In questo testo ho provato a raccontare come la carne coltivata, sebbene non sia affatto la panacea di tutti i mali, costituisca tuttavia una possibile soluzione per mitigare l’impatto delle produzioni animali sull’ecosistema terrestre, migliorare il benessere degli animali non umani e, perché no, la salute degli esseri umani (cfr. l’articolo pubblicato su One Earth a cui si accennava in precedenza).
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Ho provato a mostrare come, se accompagnata da un percorso di consapevolizzazione, che dovrebbe essere concepito sia dal basso (percorsi scolastici, attività di disseminazione culturale, interazione con i social media, etc.) sia dall’alto (incentivi statali al consumo di determinati alimenti, atteggiamento costruttivo delle istituzioni, etc.), la carne coltivata potrebbe essere un valido strumento per incentivare nuovi stili di vita e nuove abitudini alimentari, oltre a favorire l’emergere di modalità relazionali più rispettose del benessere animale e aperte a considerare gli animali non umani, generalmente impiegati negli allevamenti intensivi, partner con i quali la nostra specie intrattiene interscambi continui e che risultano essenziali per la nostra sopravvivenza e fioritura come esseri umani, dunque non semplici cose da consumare.
Consumare carne coltivata può aiutarci, in definitiva, sia a recuperare un rapporto meno opportunistico con i nostri partner animali sia a combattere la cosiddetta ideologia carnista, che cancella, al fine di renderla più accettabile, tutta la filiera che è alla base della produzione di carne.
È vero, alcuni consumatori potrebbero scegliere di introdurre nelle proprie diete carne coltivata perché non sono in grado di avviare un autentico percorso di cambiamento, che passerebbe per la consapevole trasformazione dei propri stili alimentari. In altri termini, la carne coltivata sarebbe un modo attraverso il quale continuare a mangiare carne e non un modo per rendere l’alimentazione eticamente più sostenibile.
A questa obiezione bisogna però rispondere in modo deciso. Se una parte dei consumatori potrebbe decidere di mangiare carne coltivata per evitare di intraprendere percorsi alimentari più radicali (il veganesimo ad esempio), un’altra parte potrebbe invece consapevolmente introdurre questo alimento nelle proprie diete per generare effetti benefici per l’ambiente e gli animali non umani e adottare dunque una delle possibili forme di alimentazione etica.
Inoltre se anche non consideriamo in prima battuta gli effetti prodotti, bensì le intenzioni del consumatore o i sui suoi tratti caratteriali e scegliamo come riferimento il consumatore self-interested, cioè il consumatore che effettua prevalentemente le scelte che avranno una ricaduta positiva in termini di benessere personale, il saldo netto per l’ambiente e il benessere degli animali non umani sarà in ogni caso positivo.
Non si tratta, in definitiva, di adottare una tecnologia alimentare che da sola sarà in grado di risolvere l’annoso problema degli allevamenti intensivi ma una tecnologia che, insieme ad altre strategie, possa offrirci strumenti per mitigare il nostro impatto sull’ecosistema terrestre.
In conclusione, il mio obiettivo, nell’ottica della costruzione di un framework etico tecno-realistico, è da un lato di formulare argomenti che possano convincere, almeno sul piano razionale, della necessità di non precludersi la possibilità di utilizzare la tecnologia - dunque anche la carne coltivata - per mitigare i macro-problemi che oggi abbiamo sul tappeto (crisi climatica, depauperamento delle risorse planetarie, lotta alla malnutrizione, ecc.), dall’altro – e in questo il ruolo del Gruppo FEAT potrà essere rilevante – operare, in termini pratici, per
1) la realizzazione di iniziative di divulgazione e disseminazione culturale;
2) interagire con il mondo della scuola al fine di contrastare fake news e semplificazioni riguardanti la carne coltivata e altri “nuovi alimenti”;
3) costruire una “cultura della carne coltivata” che sia ricettiva ai cambiamenti che questa nuova tecnologia alimentare promette di apportare.
Il Gruppo di Ricerca FEAT ha beneficiato di un Proof of Value, un progetto dell’Università di Torino co-finanziato dalla Compagnia di San Paolo.