L’ultima parola. La guerra delle idee in Russia tra ideologia ufficiale e opposizione
Nell’ultimo anno i discorsi di Putin hanno accompagnato l’aggressione all’Ucraina con rimandi ripetuti a concetti della tradizione filosofica russa e figure del passato più o meno recente. Ma anche gli oppositori, che continuano a criticare l’ideologia ufficiale a costo di enormi sacrifici, rivendicano il valore delle idee.
È difficile trovare un paese dove le idee siano state ammirate e disprezzate, rispettate e perseguitate più che in Russia. Nei secoli diversi pensatori sono stati imprigionati, esiliati, dichiarati pazzi, spinti al suicidio, i loro libri sono stati proibiti, intere biblioteche epurate. Ma anche quando l’insegnamento della filosofia è stato bandito nelle università, ha continuato a essere coltivato in circoli clandestini; di idee si discuteva nei salotti dell’Ottocento, come tra i rivoluzionari in carcere, nei circoli operai o nelle “cucine” degli appartamenti sovietici.
Il tragico periodo attuale non fa eccezione. Da una parte, in svariate occasioni pubbliche nel corso dell’ultimo decennio, Putin si è riferito a più riprese, più o meno a proposito, a pensatori russi dell’Otto e Novecento, da Solov’ev e Dostoevskij al filosofo religioso Nikolaj Berdjaev, dal panslavofilo Danilevskij al nazionalista filo-nazista Ivan Il’in o al dissidente Aleksandr Zinov’ev, tutti tasselli in una sorta di patchwork ideologico in cui l’unica cosa che conta è ammassare citazioni utili a sostenere l’immagine di una Russia accerchiata, in guerra con il cosiddetto “Occidente collettivo”, portatore di decadenza morale e nichilismo antireligioso.
Dall’altra, un’opposizione sempre più duramente perseguitata insiste sul valore dei propri ideali, nella difesa di quella dignità profonda della persona umana che è uno dei tratti più rilevanti della storia dell’intelligencija russa. Per farsene un’idea basta leggere il volumetto Proteggi le mie parole (E/O, 2022). Sergej Bondarenko e Giulia De Florio hanno raccolto qui in traduzione italiana una serie di dichiarazioni dal 2017 all’agosto 2022 che oppositori del regime hanno pronunciato nelle aule del tribunale, avvalendosi dell’estremo diritto a esprimere un’«ultima parola» prima di una condanna praticamente certa (i curatori osservano che nel 2022 solo lo 0,13% dei processi si è concluso con un’assoluzione). Tuttavia, secondo una tradizione già sedimentata nel periodo sovietico, quest’«ultima parola» si riverbera fuori dal tribunale, si incide nella memoria e risuona nelle coscienze.
Come ha dichiarato l’antifascista Il’ja Šakurskij, condannato come terrorista nel 2020, le sue opinioni vengono dall’educazione, dallo studio, dai classici della letteratura russa, «non sono idee inculcate da agenti di paesi stranieri, da reclutatori d’ogni ordine e grado, da strane figure politiche…». Contro le falsificazioni della propaganda è importante rivendicare, dentro e fuori dai confini della Russia (e oggi sono tanti i russi costretti a emigrare), l’alta tradizione che rende quello straordinario paese parte della cultura europea.
Per il poco che conta, il corso di Storia della filosofia russa che tengo ogni anno all’Università di Torino indaga i legami profondi tra pensiero russo e filosofie europee. Quest’anno mi è sembrato necessario chiudere con le parole di Alla Gutnikova, la giovane attivista e pensatrice che, durante il processo contro la rivista studentesca indipendente “Doxa”, ha intessuto la sua «ultima parola» di riferimenti alla filosofia e alla letteratura mondiale, terminando con un invito al significato etico e politico della verità: «Ripetete, a voi stessi e agli altri: 2 + 2 = 4. Il nero è nero. Il bianco è bianco. Io sono un essere umano, sono forte e coraggioso. Forte e coraggiosa. Fortə e coraggiosə. La libertà è un processo, nel corso del quale allenate giorno dopo giorno la vostra indisponibilità a essere schiavə.»