Ucraina 2022, ossia la guerra di religione interna al mondo ortodosso
Dal 2018 la Chiesa ortodossa dell’Ucraina ha ottenuto dal Patriarcato di Costantinopoli l’autocefalia lasciando il Patriarcato di Mosca, e la sua recente decisione di spostare la data del Natale dal 6 gennaio al 25 dicembre è solo un passo di un percorso che da anni contrappone la 2a e la 3a Roma. Tra le molte ragioni della guerra, una è il nuovo patriottismo ucraino sostenuto dal cristianesimo ortodosso, in cui religione e politica sono strettamente collegate e le Chiese sono nazionali ma che sinora era riuscito a evitare i conflitti armati che in passato hanno funestato l’Occidente.
La guerra in Ucraina ci è piombata addosso improvvisa e inaspettata. Sgomenti, abbiamo cercato di spiegarla con le categorie storiche ricorrenti nell’Occidente secolarizzato, che fanno riferimento al balance of power, cioè a un equilibrio geo-politico. Si dice che il conflitto sia frutto del tentativo di espansione della NATO o della Russia con i corrispondenti interessi concreti. Si moltiplicano le analisi di tipo “scientifico”, cioè quelle fatte dal punto di vista “esterno” di chi sta sul balcone per guardare come si muovono le persone sulla piazza per individuare le forze impersonali operanti, sulla scorta dell’assunto che gli esseri umani rispondono a esigenze materiali. Questo paradigma è spesso illuminante, ma non dice nulla delle ragioni che spingono chi sta nella piazza a muoversi: la vita in prima persona è spesso diversa da quella rilevata in terza persona, osservando dal balcone. Per esempio, Garibaldi è andato a liberare le due Sicilie dal giogo borbonico per patriottismo, ma se vista dall’esterno, l’impresa dei Mille è stata una mossa nell’ambito della più ampia strategia britannica tesa a indebolire l’impero asburgico, tanto che poi Garibaldi è stato presto relegato a Caprera.
Se vogliamo capire come mai milioni di persone oggi in Ucraina sono disposte a combattere e a morire dobbiamo abbandonare il punto di vista esterno, e cercare di guardare le cose in prima persona. Come a Garibaldi interessava in primis la libertà italiana e non il balance of power tra gli imperi, così a un ucraino oggi sta a cuore l’Ucraina come nazione più che gli equilibri geo-politici. Se con “nazismo”, il cui motto era "sangue e suolo", si intende ogni forma di nazionalismo forte, si può dire che aveva ragione Putin nell’indicare nella de-nazificazione un obiettivo dell’Operazione speciale lanciata il 24 febbraio 2022, dal momento che oggi l’Ucraina è animata da un forte spirito nazionale e patriottico, che si coniuga con peculiari tonalità religiose ed è pervaso da esse. Per questo sostengo che quella in Ucraina è una guerra di religione interna all’Ortodossia, forma di cristianesimo in cui religione e politica sono strettamente collegate in una sorta di cesaropapismo.
Per cogliere il punto va innanzitutto ricordato che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica (1992) e la fine dell’ateismo di Stato, in tutto l’Est Europa si è avuta una fioritura della religione. In Russia ogni anno si costruiscono centinaia di nuove chiese con l’adesione all’insegnamento teologico del “mondo russo” (Russkij mir) e il 70% degli ucraini si professa fedele all’Ortodossia ed è praticante. Se in Occidente la richiesta di separazione dei poteri religiosi e civili avanzata dai primi albori della secolarizzazione ha portato alle guerre di religione dei secoli XVI-XVII, nell’Est l’Ortodossia ha scongiurato i conflitti creando nuove Chiese nazionali autocefale (che si governano da sé): aspetto che ha garantito stabilità e pace. Nel 1992 l’Ucraina otteneva l’indipendenza politica, pur rimanendo spiritualmente soggetta al Patriarcato di Mosca.
Da allora, però, la situazione è cambiata. Per un verso perché anche nell’Est Europa è arrivata la secolarizzazione che ha posto problemi del tutto nuovi, come il matrimonio paritario, i rapporti con la scienza, la fecondazione assistita, ecc. Per affrontarli il patriarcato di Costantinopoli (la 2a Roma) ha organizzato nel 2016 a Creta il Concilio pan-ecumenico ortodosso, atteso da 1200 anni, che avrebbe potuto approvare documenti innovativi e aprire l’Ortodossia a nuovi orizzonti. Il Concilio è fallito per l’assenza del Patriarcato di Mosca (la 3a Roma), per il quale “nell’Ortodossia quel che c’era da cambiare è stato fatto nell’800 d.C., e null’altro è da modificare”. Costantinopoli è aperta all’innovazione, Mosca riafferma la tradizione.
Per un altro verso, la situazione è cambiata perché la rinascita religiosa ha rinvigorito il nazionalismo o patriottismo ucraino contrario al Russkij mir: quando nel 1992 si è formato il nuovo Stato indipendente sul piano politico, l’Ucraina era pur sempre religiosamente dipendente dal Patriarcato di Mosca. In breve tempo, però, si è occidentalizzata, ha abbandonato il “mondo russo” spostandosi dalla linea dell’Ortodossia conservatrice di Mosca a quella progressista di Costantinopoli, tanto che a Kiev da anni si organizzava il più importante Gay-pride dell’Est Europa. In questa linea, nel 2018 il Patriarcato di Costantinopoli ha riconosciuto l’autocefalia della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, fatto che ha sancito il distacco culturale da Mosca come rilevato dall’allora Presidente ucraino Poroshensko che, ritirando il tomo ufficiale dell’autocefalia, dichiarò: “Nel 1992 abbiamo avuto l’indipendenza politica, ora abbiamo quella spirituale”.
Chi va in guerra deve avere una motivazione forte per farlo, e se si guarda la situazione dal punto di vista interno, gli ucraini vanno in guerra per un patriottismo a base religiosa sostenuto da una Chiesa ortodossa nazionale aperta alle innovazioni richieste dall’arrivo della secolarizzazione. Mentre la Chiesa di Mosca non vuole modificare nulla, e propone il “mondo russo” come unità cultural-religiosa tradizionale, la Chiesa di Kiev (come Costantinopoli) nella liturgia abbandona il calendario giuliano per quello gregoriano e celebra il Natale il 25 dicembre e non più il 6 gennaio, non condanna il matrimonio paritario come invece fa Mosca, e altre cose ancora.
Per chi guarda al mondo in prima persona, alla base della guerra in Ucraina sta il contrasto interno al cristianesimo ortodosso tra tradizionalisti e innovatori: sinora l’Ortodossia era riuscita a evitare le guerre di religione che hanno funestato e diviso l’Occidente, ma ora i contrasti circa il modo di strutturare la religiosità nel nuovo mondo secolarizzato e le risposte etiche da dare hanno alimentato una “guerra culturale” che si è coniugata con istanze nazionaliste trasformandosi in vera e propria guerra armata. Gli ucraini non vanno a morire né per Biden né per la Nato, ma perché, mossi da un nazionalismo religiosamente sostenuto, vogliono che l’Ucraina come nazione indipendente risplenda nel mondo irraggiando un’Ortodossia all’altezza dei tempi nuovi.