Magica Graeca. La poesia sommersa dei rituali di maledizione
Le tavolette di maledizione sono i sedimenti di una pratica rituale ampiamente attestata nel Mediterraneo antico. Nel corso di celebrazioni dai tratti in larga parte sconosciuti, gli indovini di volta in volta incaricati del rito incidevano formule aggressive sopra lamine metalliche che poi sotterravano come lettere dirette alle divinità infernali. Le tavolette a oggi note coprono varie lingue e uno scacchiere geografico che va dalla Spagna all’Ucraina, dall’Egitto all’Inghilterra. I reperti in lingua greca formano non solo il gruppo più numeroso, ma anche quello di più antica attestazione.
La parola magia rimanda a un immaginario condiviso fatto di formule misteriose, triangoli bianchi o neri, incantesimi e altre stregonerie. Tuttavia, nonostante l’intuitività che lo contraddistingue, il concetto si rivela refrattario alle definizioni. La difficoltà non deriva soltanto dai molti significati che il tempo ha raccolto intorno al nucleo della parola, ma anche dal fatto che fin dalle proprie origini la categoria del ‘magico’ - nata nella Grecia antica - ha rappresentato un’etichetta volta a condannare certe comunità, che mai avrebbero descritto le proprie pratiche come ‘magiche’ anziché ‘religiose’. I miei studi dottorali all’Università di Torino ruotano intorno a una delle cosiddette ‘pratiche magiche’ del mondo antico. Nella maggior parte dei casi, gli antichi depositari del pensiero magico non ci hanno lasciato fonti dirette su cui far presa per ricostruire senza mediazioni l’immagine di un cosmo culturale. Di conseguenza, il più delle volte il lavoro di storici e storiche può solo limitarsi a leggere in contropelo le testimonianze indirette di autori spesso ostili all’oggetto della ricerca. Ci sono tuttavia alcune notevoli eccezioni. Tra queste, una delle più significative è quella rappresentata dalle tavolette di maledizione. Sottili epigrafi plumbee trovate negli scavi archeologici all’interno di templi o cimiteri, le tavolette di maledizione costituiscono i resti di una pratica rituale aggressiva sorta nel mondo greco almeno sei secoli prima di Cristo e poi sopravvissuta per circa un millennio. Nel corso delle ricerche, mi sono concentrato sui primi seicento anni di questa lunga parabola. Lo studio filologico di tutte le tavolette in lingua greca risalenti al periodo avanti Cristo mi ha permesso di raggiungere nuove conclusioni non solo su come circolassero le liturgie a monte delle antiche prassi rituali, ma anche sull’identità dei loro ministri. Secondo le mie ricostruzioni, la diffusione dei riti avrebbe per secoli seguito le peregrinazioni di una categoria di sacerdoti itineranti, da Platone definiti “indovini selvaggi”. Nel mettere in vendita la propria competenza tecnica alla clientela delle comunità di volta in volta raggiunte, gli indovini selvaggi si sarebbero serviti di veri e propri manuali per la corretta esecuzione delle pratiche religiose. Le parole che ancora oggi leggiamo incise sulle tavolette rappresenterebbero dunque il risultato dell’incontro tra i sempre diversi desideri della clientela (liberarsi di un rivale in amore oppure da un feroce mal di testa) e i formulari contenuti nei libri degli indovini.
Il lavoro si è inoltre prestato a stabilire un rapporto tra i testi incisi sopra il piombo e più ampie composizioni poetiche destinate a un’esecuzione vocalica nel momento del rito. Sotto questo aspetto, le frasi delle tavolette sono emerse come i veri e propri frammenti di una tradizione poetica aperta, non autoriale e in questo senso popolare: una poesia religiosa sommersa, che è stato possibile - entro certi limiti - sottrarre al naufragio. La nuova edizione critica di una tavoletta ateniese ha per esempio consentito di riscontrare come le parole frammentarie e disordinate del reperto restituiscano un componimento lungo e dotato non solo di un ritmo ma anche di una divisione in strofe.
Oltre ad aggiungere un tassello di conoscenza al grande mosaico della storia culturale, le ricerche torinesi sulle tavolette esecratorie ci possono poi fornire nuovi spunti di riflessione sopra noi stessi e sopra l’ideologia nascosta dietro concetti che usiamo quotidianamente, come ‘magia’, ‘diversità’ e ‘cultura popolare’.
A breve consultabili in una monografia che verrà pubblicata dalla editrice Franz Steiner Verlag, i frutti del mio dottorato potranno contribuire a promuovere un’idea inclusiva della ricerca, favorendo il superamento - ancora in atto nell’antichistica - della prospettiva per cui la cultura sarebbe tale solamente se ‘alta’ e appartenente ai gruppi sociali dominanti.
Nel contesto di un crowdfunding a sostegno delle spese editoriali, i temi delle mie ricerche sono infine confluiti nel progetto divulgativo Magica Graeca e nel podcast su Spotify Atlante del labirinto. L’idea alla base del progetto è quella di rendere accessibile anche al di fuori del mondo universitario una visione che riconosca a pieno il valore delle tradizioni ‘popolari’, ‘altre’ e ‘non ufficiali’. Con l’obiettivo di approdare a una sempre più ricca comprensione del mondo: di quello antico come di quello contemporaneo.