Ritualità e cerimonie nella storia: un approccio interdisciplinare e multisensoriale
Nonostante le fonti del passato ci restituiscano molti racconti di ritualità e cerimonie, esse sono state a lungo svalutate, spesso liquidate come elementi di interesse marginale, soltanto tecnico o antiquario, perché ritenute inutili ai fini della ricostruzione storica. Oggi la prospettiva è cambiata: negli ultimi decenni, specie nell’ambito della storia delle religioni, dell’antropologia e della sociologia, gli studi si sono moltiplicati, perché molteplici sono gli elementi che compongono un rito e che vanno letti con un approccio sempre più interdisciplinare.
Fino a non molti decenni or sono le ricerche sul rito erano quasi del tutto confinate all’interno di quegli ambienti - in genere religiosi, ma talora anche secolari - in cui il rito svolge una funzione essenziale (ad esempio nella liturgia cristiana o nei luoghi di rappresentanza dove vige una rigida etichetta). Erano però ricerche limitate in genere alla ricostruzione dei suoi aspetti pratici ed esteriori, a uso interno, con l’intento di giustificarne l’esistenza e perpetuarne la tradizione.
Il progetto di ricerca Ritualità e cerimonie nella storia vuole mostrare quanto sia pienamente giustificata un’indagine primariamente storica di alcune espressioni di ritualità e di cerimonie tramandate dalle fonti del passato, allo scopo di metterne in luce il potenziale conoscitivo con uno sguardo interdisciplinare.
Oggetto dell’indagine sono quelle espressioni umane che ricadono sotto l’ampia definizione di “rito”, cioè certe azioni formalizzate, individuali o collettive, compiute in un determinato tempo e spazio, che si percepiscono come differenti dalle azioni della vita ordinaria e distinte dal comportamento comune. Queste azioni hanno una natura essenzialmente simbolica ed espressiva; seguono regole o procedure predeterminate, le quali risultano stereotipate e ridondanti, cioè private di spontaneità e amplificate nel loro svolgimento (il che le renderebbe, in un contesto normale, inefficaci). Si pensi, ad esempio, alla differenza che passa fra lo spontaneo spostamento di un gruppo di persone da un luogo a un altro e una processione rituale organizzata, ordinata, lenta, cadenzata e accompagnata dall’uso di musiche, preghiere, canti, oggetti sacri, luminarie e paramenti.
Una caratteristica essenziale dell’azione rituale è la presenza di norme che ne disciplinano lo svolgimento, riconoscibili da chi le mette in atto, in genere ritenute irrinunciabili e tradizionali, tramandate nel tempo. Non sempre tali norme appaiono razionali e comprensibili, né è necessario che lo siano: infatti dal punto di vista cognitivo il rito non è efficace per i suoi contenuti ma per i suoi codici di contesto, ripetizione, ridondanza, coralità, drammaturgia, performatività che, rilasciando particolari neurotrasmettitori, hanno effetti benefici sul cervello. Non è necessaria una totale autocoscienza e riflessività di quanto si realizza: nel rito ciò che viene eseguito - il cerimoniale - può essere più importante di quanto emerge come pensiero consapevole. Per chi partecipa al rito, infatti, può essere sufficiente il sentirsi appagato della sola intensità emozionale.
Le azioni rituali per realizzarsi in genere occupano spazi precisi, capaci di moltiplicarne l’espressività, e seguono tempi prestabiliti. Ma l’unità simbolica più significativa delle ritualità e delle cerimonie è il linguaggio del corpo. È predominante la parola, ma vi sono diversi altri elementi non verbali: anzitutto la gestione del corpo attraverso la sua staticità o il suo movimento, la mimica facciale e l’assunzione di una determinata postura (in piedi, seduti, in ginocchio, ecc.); quindi la prossemica ovvero la distanza che l’individuo interpone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, ma anche la gestualità (i movimenti sincronizzati, l’innalzamento o l’imposizione delle mani, l’allargamento delle braccia, la creazione di segni nell’aria, l’ondeggiare del corpo, la danza, lo sventolare bandiere, ecc.), il tatto (il contatto fra corpo e corpo o fra corpo e oggetto), l’impiego di aromi come l’incenso che attivano il senso dell’olfatto, mentre l’assunzione di cibi e bevande durante i banchetti rituali attivano il senso del gusto; poi la sollecitazione dell’udito attraverso il canto, la musica strumentale, i motti corali, o il silenzio e della vista grazie a pitture, stampe, statue, affreschi, codici iconografici simbolici, vestiti, ornamenti, maschere e luci.
Tutti gli elementi corporei coinvolti nel rito sono stimoli cognitivi potenti che generano effervescenze emotive nel cervello: i movimenti cadenzati e coordinati, i suoni regolati, i gesti collettivi, la parola corale, certe pose creano un effetto di consonanza emotiva e in certi casi possono anche indurre stati alterati di coscienza (riti psicoterapeutici, possessioni sciamaniche, estasi provocate dalla ripetizione ossessiva di suoni, coreografie, danze, sessioni di concentrazione, ecc.). Sono effetti psichici osservabili anche in altre specie animali non umane, come ad esempio nei rituali funebri degli scimpanzè.
Il nostro progetto dipartimentale intende mettere in luce le molte chiavi di lettura e gli elementi caratteristici ricavabili da fonti storiche che conservino traccia di ritualità e cerimonie; su di essi ci si può concentrare in una prospettiva storiografica ma con un occhio ai risultati degli studi rituali svolti in ambito sociologico, antropologico e psicologico. Si va dalla dimensione spettacolare e performativa del rito alla rappresentazione simbolica che ne scaturisce; dalla ritualità come strumento di episodico distanziamento e sospensione della realtà mondana al cerimoniale come strumento di ripetizione coordinata che trasmette e conferma idee ed esperienze, sentimenti, valori, moralità, credenze e ideali collettivi.
Molti studi hanno messo in luce la capacità del rito di agire come strumento di controllo sociale e formazione delle coscienze; come rappresentazione e drammatizzazione delle differenze e dei confini sociali, armi importanti nella competizione politica e nella gestione dei rapporti di forza. Sono poi molti gli effetti sulla psiche messi in atto dalle ritualità: arginamento delle conflittualità, drammatizzazione o sdrammatizzazione, controllo della paura, del dolore e dell’ansia, effetto di consolazione, sollievo, rassicurazione, eccitazione e aggregazione simbolica.
Una maggiore attenzione a questi aspetti ed effetti - condotta secondo il modello sperimentato nel presente progetto - non potrà che arricchire, nel futuro, la nostra comprensione di certi eventi ritualizzati del passato sui quali finora l’indagine scientifica è stata lacunosa.