Dove prima c’era il ghiacciaio ora si studiano le acque di un lago, ma non solo!
Un viaggio in alta quota nelle Alpi alla scoperta dei segreti di un lago formatosi a causa dell’arretramento di un ghiacciaio dovuto al riscaldamento globale. Un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, il cui studio è utile a capire l’influenza del ghiacciaio sulle caratteristiche dell’acqua e dell’ambiente che lo circonda.
Nella tarda estate del 2003, in compagnia di Willy Monterin e Paolo Piccini, operatori del Comitato Glaciologico Italiano, partii da Gressoney La Trinité, villaggio valdostano ai piedi del Monte Rosa, raggiunsi il ghiacciaio di Indren a circa 3100 metri di quota. Il nostro obiettivo era condurre la periodica misura della posizione della sua parte terminale. Questa operazione viene effettuata con regolarità fin dai primi del Novecento grazie all’opera del padre di Willy, Umberto Monterin, famoso climatologo e glaciologo. Non è complicato, ma ha bisogno della dovuta accuratezza nella misura della posizione della fronte del ghiacciaio rispetto a dei segnali fissi opportunamente predisposti.
La Commissione per lo studio dei movimenti dei ghiacciai nel 1895 descrisse i segnali per lo studio delle variazioni frontali dei ghiacciai come “segnalazioni presso la fronte del ghiacciaio o lungo i suoi fianchi, per mezzo di infissione di picchetti sul terreno, oppure per mezzo di disegni a colore con rosso minio ad olio su roccie [sic] fisse, precisando pure col minio la data ed il nome di chi ha fatto la segnalazione” (da Questionario ed istruzioni per lo studio dei ghiacciai italiani nella campagna alpina, 1895. Riv. Mens. CAI, XIV, n.6).
Tali segnali, collocati dal Comitato glaciologico italiano in corrispondenza dei principali ghiacciai alpini, costituiscono uno straordinario patrimonio storico-documentale. Grazie a ciò, la misura della posizione delle fronti glaciali ha permesso di registrare con grande accuratezza l’arretramento dei ghiacciai nelle Alpi a partire dalla fine dell’Ottocento, uno degli effetti più tangibili del riscaldamento globale.
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Quando raggiungemmo il ghiacciaio di Indren ci accorgemmo immediatamente che l’ambiente era fortemente cambiato: dove fino all’anno precedente c’era il ghiacciaio ora era comparso un piccolo specchio d’acqua. L’estate 2003 era stata particolarmente calda a causa delle frequenti e durature invasioni di aria calda dal Nord Africa, con record assoluti di temperatura superati più volte. Da allora il lago si è ampliato, tanto che oggi misura più di 3200 m2, come circa sei campi da tennis.
Non si tratta di un caso isolato nelle Alpi Occidentali, dove studi recenti hanno evidenziato come l’arretramento dei ghiacciai abbia determinato la formazione di più di 200 nuovi laghi rispetto alla Piccola era glaciale.
Si tratta di laghi che rivestono un ruolo fondamentale nella dinamica idrologica e chimica dei bacini idrografici montani e per questo motivo sono riconosciuti come siti di riferimento per la comprensione degli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi montani e dei potenziali impatti anche a valle.
Pertanto, è di fondamentale importanza analizzare la quantità e la qualità delle acque presenti in questi ecosistemi vulnerabili e in rapida evoluzione. In questo contesto, l’area di studio del Ghiacciaio di Indren, inserito nel sito di ricerca della Rete LTER-Italia Istituto Mosso, rappresenta un vero e proprio laboratorio a cielo aperto.
Negli ultimi anni, i risultati ottenuti dalle ricerche condotte in questo lago dal nostro gruppo di lavoro al DISAFA hanno mostrato come la presenza del ghiacciaio condizioni in maniera significativa le caratteristiche dell’acqua del lago stesso, favorendo per esempio il rilascio di rilevanti quantità di carbonio organico, con possibili effetti sulla catena alimentare acquatica. L'origine del carbonio organico è probabilmente da associarsi alla vicinanza della Pianura Padana e a fenomeni di deposizione atmosferica. Tuttavia non possiamo trascurare la produzione di sostanza organica all’interno di piccole cavità sulla superficie del ghiacciaio stesso, i cosiddetti fori crioconitici, che ospitano alghe in grado di fissare il carbonio atmosferico.
Umberto Monterin, all’interno dell’articolo Particolarità morfologiche della superficie dei ghiacciai pubblicato nel 1925 nel volume XLII n. 75 del Bollettino del Club Alpino Italiano, così li descrive: “Un assorbimento ancora maggiore dei raggi solari (rispetto ai detriti rocciosi grossolani sparsi sulla superficie glaciale, di cui tratta nella sezione precedente dell’articolo) con successivo irradiamento viene esercitato dagli accentramenti dei detriti più minuti, quasi impalpabili, di colore nerastro fuligginoso, ricchi di alghe che sono soprattutto d’origine eolica ed in minor proporzione provenienti dalle impurità del ghiaccio medesimo. Essi danno luogo a degli infossamenti di forma ovale, più raramente circolare, che sovente possono raggiungere una profondità anche di oltre 50 cm”.
L’interesse scientifico per queste particolari forme che si possono osservare sulla superficie dei ghiacciai è ancora significativo ed ha permesso di evidenziare come, per esempio, l’accumulo di materiale organico al loro interno funzioni da filtro per le acque di fusione che scorrono sopra il ghiacciaio, accumulando elementi chimici. L’acqua di fusione dei ghiacciai può trasportare e accumulare tale materiale organico molto scuro in prossimità delle fronti, a costituire un ottimo “fertilizzante” per i suoli e le specie vegetali pioniere in grado di colonizzare questi ambienti.