Per fiumi più puliti basta la luce solare. O forse no?
Le luce solare induce reazioni fotochimiche che aiutano il disinquinamento delle acque naturali dai contaminanti prodotti dalle attività agricole, industriali e urbane. In particolare il Po, in Piemonte, ha rivelato buone capacità di autodepurazione rispetto ai suoi affluenti. Tuttavia le reazioni di autodepurazione avvengono attraverso processi che talvolta possono portare alla formazione di sottoprodotti nocivi.
Le acque naturali possono essere inquinate da una varietà di composti prodotti dalle attività umane, tra cui i principali sono i pesticidi, i composti chimici sintetizzati o utilizzati nell'industria, i farmaci e i prodotti per la cura della persona e della casa. Se le emissioni dei farmaci sono dovute al trattamento incompleto delle acque reflue civili e industriali, i pesticidi sono per definizione immessi di proposito nell’ambiente, inizialmente in un comparto limitato (i campi coltivati) da cui possono poi facilmente diffondere nelle aree circostanti.
Sebbene non sia la soluzione al problema dell’inquinamento, fortunatamente le acque naturali possiedono capacità di autodepurazione, grazie alle quali sono in grado di disinquinarsi, almeno parzialmente.
Questi processi coinvolgono innanzitutto la biodegradazione, dovuta a microorganismi ma efficace solo nei confronti di composti biodegradabili. Di conseguenza, la fotodegradazione degli inquinanti a opera della luce solare è, spesso, l’unica possibilità di autodepurazione degli ambienti acquatici in presenza dei pesticidi (a parte la diluizione che, tuttavia, non sempre funziona).
In alcuni casi, la luce assorbita provoca direttamente la trasformazione degli inquinanti, in altri casi il processo è indiretto: la radiazione solare è assorbita da componenti naturali delle acque detti fotosensibilizzatori (materia organica naturale, nitrati, nitriti, ecc.), i quali producono specie reattive che degradano gli inquinanti stessi. Tali specie reattive sono generalmente poco conosciute dagli stessi chimici e hanno nomi curiosi: radicali ossidrile, radicali carbonato, ossigeno singoletto e, ancora meno noti, i cosiddetti stati di tripletto della materia organica. Tutte queste specie degradano gli inquinanti ma, in alcuni casi, producono sottoprodotti ancora più pericolosi. Limitandosi per esempio al caso degli erbicidi, il bentazone è fotodegradato in composti innocui ma le feniluree (linuron, diuron, clortoluron) posso essere trasformate in composti ancora più tossici.
Dalle nostre ricerche risulta che, in Piemonte, l'acqua del fiume Po è significativamente più fotoattiva di quella dei suoi affluenti. Questo è dovuto, paradossalmente, all’elevato contenuto di nitrati emessi come inquinanti dalle attività agricole (utilizzo di fertilizzanti).
I nitrati, assorbendo la radiazione solare, producono radicali ossidrile che degradano i pesticidi innescando, dunque, un fenomeno di disinquinamento che è favorito dall’inquinamento prodotto dalle stesse attività che sono responsabili dell'emissione dei pesticidi.
La cosa interessante è che, nel Po, possono essere efficientemente fotodegradati composti che hanno subito una degradazione incompleta negli affluenti, garantendo quindi un efficace disinquinamento prima che le acque fluviali lascino i confini regionali. Va però detto che alcuni pesticidi, tra cui le già citate feniluree, sono in grado di produrre composti tossici proprio per reazione con i radicali ossidrile.
La nostra ricerca si concentra sui meccanismi con cui le acque naturali producono specie reattive per effetto della radiazione solare, sui prodotti di degradazione degli inquinanti e il loro effetto sull’ambiente, nonché sul ruolo (molto importante) che i cambiamenti climatici possono avere in questo tipo di processi. Nel prossimo futuro i nostri studi, in particolare miei e della dottoressa Monica Passananti, saranno estesi alla fotoreattività ambientale di micro- e nanoplastiche, grazie al finanziamento ottenuto da una Starting Grant del Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC).