Sulle tracce di metalli e contaminanti emergenti in Antartide
Da molti anni il nostro gruppo di ricerca studia i metalli in campioni di acqua, sedimenti, vegetali e di particolato atmosferico provenienti dall’Antartide. Oggi partecipiamo al progetto “Matisse” per valutare la presenza, la provenienza e gli effetti tossici di residui di farmaci, di prodotti di “personal care” e di altri inquinanti emergenti nel continente.
L’Antartide è un continente di straordinaria importanza scientifica, un vero e proprio laboratorio naturale che custodisce il passato del nostro pianeta e registra le evoluzioni e i cambiamenti del nostro presente.
Dal 1987, il nostro gruppo di ricerca, costituito da me, dalle prof.sse Agnese Giacomino e Mery Malandrino, dall’insostituibile tecnico Sandro Buoso, oltre che da tanti giovani dottorandi/e di ricerca e laureandi/e, ha studiato principalmente il comportamento di metalli nelle acque e nei sedimenti marini, nel particolato atmosferico e in piccoli laghi presenti sulle coste, nelle aree meno fredde dell’Antartide. I campioni sono prelevati da ricercatori e ricercatrici ospitati/e nella base scientifica “Mario Zucchelli” e sono trasportati in Italia per essere studiati da università e centri di ricerca.
Alcuni risultati delle nostre ricerche.
Nelle acque di mare le concentrazioni di metalli variano con le stagioni, soprattutto perché vengono assimilati dalle alghe durante la loro crescita, il cosiddetto “phytoplankton bloom”, e sono di nuovo rilasciati nelle acque quando le alghe si decompongono. Ricordiamo che i metalli non sono degradabili, al contrario delle sostanze organiche, e possono solo essere trasferiti da un punto all’altro, ad esempio dall’acqua al suolo, dal suolo ai vegetali, dall’atmosfera all’acqua e viceversa. Tuttavia i metalli non si accumulano di anno in anno nelle acque perché sono coinvolti nei cosiddetti “cicli biogeochimici”: in particolare sono inglobati nei sedimenti e sono in parte trasferiti in atmosfera con lo spray marino, ovvero le gocce d’acqua prodotte dalle onde e trasportate dall’aria anche a lunghe distanze.
Il particolato atmosferico raccolto sulla terraferma è molto influenzato dallo spray marino, che raggiunge l’entroterra, come dimostra la presenza di alte concentrazioni di sodio e magnesio. Non mancano le componenti geogeniche, cioè derivanti da sorgenti naturali, come l’erosione delle rocce terrestri, di origine locale ma anche quelle trasportate da lontano. Per alcuni elementi, come rame, molibdeno e zinco, si pensa a un contributo derivante da attività umane.
Lo spray marino è una sorgente importante di metalli anche per i laghi antartici dell’area di Baia Terra Nova, che sono in genere poco profondi (a volte solo 1 metro!) e di piccole dimensioni. Proprio le ridotte dimensioni dei laghi, e l’ecosistema semplificato in essi esistente, ci hanno permesso anche di studiare il bioaccumulo naturale di elementi nelle alghe e l’interazione tra acqua e sedimenti. Infine, questi laghi sono considerati indicatori di variazioni climatiche o di contaminazione, ma fortunatamente l’esame di una serie storica di dati sulle acque non ha mostrato la presenza di un inquinamento da parte di metalli.
Il progetto MATISSE, oltre ai metalli c’è di più
Negli ultimi anni, in aggiunta ai metalli, ci stiamo occupando dei cosiddetti “contaminants of emerging concern” (CEC), i quali solo di recente sono stati rilevati nei corsi d’acqua, che possono avere effetti negativi sull’ambiente e sull’essere umano, e che non sono regolamentati per legge (o lo sono da poco). Tra i principali esempi di CEC possiamo citare pesticidi, prodotti di uso agricolo, farmaci e prodotti per l’igiene personale.
I CEC sono oggetto di studio nel progetto MATISSE (Emerging contaminants in the Ross Sea: occurrence, sources and ecotoxicological risks), nel quale il nostro gruppo è coinvolto insieme alle università di Genova (capofila), Firenze, Pisa e Venezia.
Il nostro obiettivo è comprendere se alcuni residui di farmaci e di prodotti per la cura della persona, microplastiche e ritardanti di fiamma sono presenti nelle acque del mare di Ross, in prossimità della base “Mario Zucchelli”, identificare le sorgenti locali degli inquinanti e i rischi ecotossicologici ad essi collegati.
Microplastiche e ritardanti sono stati ricercati anche in organismi marini e nei sedimenti, in ottica di monitoraggio ambientale e di supporto alla conservazione delle specie marine vulnerabili. Gli studi effettuati nel progetto hanno permesso di rilevare la presenza di molte sostanze, come anti-infiammatori e filtri solari, nelle acque di scarico della stazione scientifica e, a livelli bassissimi, in una zona costiera di Terra Nova Bay.
Le basse concentrazioni in gioco richiedono strumenti sofisticati e costosi, basati sulla spettrometria di massa. Per questo all’Università di Torino, insieme alla prof.ssa Silvia Berto, stiamo studiando la possibilità di utilizzare un altro metodo di analisi, la voltammetria: si tratta di una tecnica più semplice e meno costosa, che può essere usata anche con strumenti portatili, ma che fornisce meno informazioni analitiche rispetto alla spettrometria di massa. Lo scopo finale è utilizzare la voltammetria in campo, come tecnica di screening, per identificare quali campioni contengano CEC e quindi richiedano di essere portati in Italia per essere analizzati più nel dettaglio con la spettrometria di massa.
Sempre a UniTo, le dott.sse Valentina Boscaro e Margherita Gallicchio, farmacologhe, stanno studiando gli effetti di CEC a concentrazioni diverse, a breve e lungo termine, su colture cellulari.
In conclusione, il laboratorio naturale e remoto dell’Antartide fornisce informazioni utili per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento ambientale negli altri continenti del pianeta.