Super-agili non basta: il ruolo delle organizzazioni nel lavoro da remoto
In queste settimane di lavoro da casa, il senso di quell’ “agile” lasciato a qualificare il lavoro da remoto in situazione di emergenza è stato confermato da esperienze, racconti, ironie e malinconie. Quell’aggettivo ha finito infatti per riferirsi a chi lavora e non al lavoro in sé: persone così agili da riuscire a lavorare da remoto, reinventando tempi e spazi, ruoli e compiti, relazioni e riflessioni. Più che agili: super-agili.
Fino a dicembre 2019 in Italia erano appena 570 mila i lavoratori “da remoto”, per pochi giorni al mese. Al primo maggio 2020, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali contava più di un milione e 800 mila persone in “modalità smart working” . In una improvvisata riorganizzazione delle attività, in convivenze forzate o altrettanto forzate forme di isolamento e solitudine, settimane fa ci interrogavamo - come ho raccontato qui - sulla faticosa ricerca di equilibrio intrapsichico, nei ruoli, nelle relazioni.
A partire da quell’interrogativo generale, mentre è in corso la seconda rilevazione dello studio che stiamo conducendo, possiamo fare qualche considerazione sui primi dati raccolti attraverso un questionario self-report somministrato tra il 5 e il 15 aprile 2020. Hanno partecipato allo studio 715 persone, in prevalenza donne (66%), la maggior parte con figli (64%) e con compiti di cura (66%; il 56% degli uomini e il 71% delle donne), nel 70% dei casi con elevata preoccupazione per la pandemia. Prima dell’emergenza solo il 20% aveva già avuto esperienza di lavoro da remoto, per pochi giorni al mese e per pochi mesi. Il 46% di chi ha risposto ha dichiarato di non aver partecipato a una formazione specifica sul tema e il 20% ha sperimentato una formazione “breve”.
Complessivamente la valutazione dell’esperienza è positiva: la maggior parte delle/i rispondenti ha sperimentato soddisfazione (65%) ed efficacia nel raggiungere gli obiettivi (62%). Il lavoro da remoto ha consentito continuità economica in un periodo di crisi, mantenimento di attività e ritmi di vita, risparmio dei tempi di spostamento. Poco più della metà delle/i rispondenti dichiara di aver conciliato vita e lavoro in modo soddisfacente ma l’altra metà ha avuto qualche difficoltà su questo fronte.
Quali variabili contano? Quali si associano a differenze significative? Come si vede dall’Infografica (che presenta solo una piccola parte dei risultati), per le donne la conciliazione è risultata più complessa ma, soprattutto, è stato più difficile ritagliare del tempo “di recupero” a discapito del benessere: già nelle prime settimane di aprile, le donne riportavano livelli di esaurimento emotivo e insonnia superiori agli uomini.
E il ruolo dell’organizzazione? Formazione, relazioni di leadership improntate al supporto e autonomia sono state fondamentali per conciliare più efficacemente, raggiungere gli obiettivi e, complessivamente, sperimentare una maggiore soddisfazione. L’autonomia potrebbe anche avere risvolti negativi se non accompagnata da chiarezza negli obiettivi e sostegno in caso di necessità: questo aspetto sarà affrontato attraverso i prossimi passaggi di ricerca. Emerge ovviamente anche un effetto della tecnologia e, soprattutto, della connessione: quando è affidabile ne trae giovamento sia il lavoro che il resto della vita, probabilmente attraverso un abbassamento della preoccupazione generale rispetto alla possibilità di riuscire a fare tutto ciò che “si deve”. Il technostress si associa a problemi di conciliazione, portando l’attenzione sul fondamentale tema del diritto alla disconnessione.
Queste e altre ipotesi relative alle relazioni (anche causali) tra le variabili verranno approfondite grazie allo studio longitudinale (che rileverà cioè le stesse variabili nel tempo) che vi racconteremo in una prossima puntata insieme ai dati di uno studio parallelo che stiamo conducendo in Francia.
Sulla base dei dati già raccolti possiamo affermare che l’esperienza del lavoro da remoto ha consentito di affrontare questo tempo difficile reclamando una super-agilità, dove a essere “smart” sono state le persone. È necessario avere “superpoteri” di ubiquità per assistere alla video-lezione di un figlio/a e coordinare una riunione, o di invisibilità, per ricavarsi una “stanza per sé” in una casa affollata; ma anche per apprendere rapidamente competenze digitali e trasversali (lavoro in gruppo, leadership e followership, ecc.) non esercitate prima con questa forma e con questa intensità. Superpoteri alla Capitan Marvel che troppo spesso vengono implicitamente richiesti alle donne: affermazioni come “il lavoro da remoto serve alle donne per conciliare” - smaccatamente sessiste - non si dovrebbero più sentire perché reiterano l’attribuzione al femminile del doppio lavoro.
Abbiamo capito che il lavoro da remoto può calmierare le conseguenze negative di un’emergenza e, pur sperando di non rivivere una situazione simile, occorre prevedere piani per il futuro. Intravedendo i risvolti positivi del lavoro da remoto, le organizzazioni hanno un ruolo fondamentale nell’alimentare questa positività e ridurre i rischi, fornendo le risorse necessarie alle persone: investimenti tecnologici ma soprattutto formazione, leadership e autonomia, lavoro per obiettivi, diritto a staccare, adeguata cultura manageriale nelle scelte, nella gestione dei percorsi di sviluppo, ed etica dell’equità nelle decisioni e nelle politiche.
Gruppo di lavoro: Chiara Ghislieri, Monica Molino e Valentina Dolce.
Raccolta dei dati a cura di Laura Acutis, Elena Randieri e Domenico Sanseverino.