Dall’aula allo schermo: come cambia la didattica nei corsi universitari?
Come tradurre in pochi giorni la didattica in presenza in un corso a distanza? Il mio studio raccoglie dati in diverse università italiane sulle percezioni del cambiamento da parte dei docenti e degli studenti, sulle sfide e sulle opportunità che si possono individuare in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo.
Sono una dottoranda senior, ovvero un’insegnante di inglese che ha l’opportunità di svolgere un dottorato di ricerca in Digital Humanities. Considerata la mia esperienza nel campo della didattica, la mia ricerca si sarebbe dovuta concentrare sulle potenzialità offerte dall’e-learning all’insegnamento e apprendimento dell’inglese.
Stavo raccogliendo la letteratura sull’argomento e iniziano a essere familiari parole come blended, riferita a corsi erogati in parte online e in parte in presenza, e badge digitale, la rappresentazione grafica per riconoscere una competenza maturata da un soggetto in base a “certificati” rilasciati da piattaforme di e-learning. Quando all’improvviso il coronavirus è arrivato anche in Italia. Venerdì 21 febbraio è stato l’ultimo giorno di lezioni in presenza per milioni di studenti e migliaia di insegnanti senza che loro ne fossero consapevoli: da allora non sono pochi a sospirare pensando ai libri lasciati sotto i banchi o nei cassetti per un fine settimana, e che invece non potranno essere consultati per un tempo al momento indefinito. Il sistema scolastico italiano è migrato su piattaforme digitali, così studenti e docenti di ogni ordine e grado hanno dovuto imparare nel giro di pochi giorni a usare tecnologie con le quali la maggior parte di loro non aveva nessuna familiarità.
Qui arriva la mia idea: perché non provare a trasformare una sfida in un’opportunità?
Come ha fatto notare lo storico Yuval N. Harari in un recente articolo per il Financial Times, ci troviamo in un momento eccezionale, in cui siamo protagonisti di un esperimento sociale, economico ed educativo che nessun governo avrebbe permesso in tempi normali. Ho modificato pertanto il mio progetto di ricerca dedicandomi alla raccolta dati sulla didattica universitaria della lingua inglese per dare un senso alle mie giornate che non fosse solo cercare di rimanere in salute. Ho contattato docenti di diverse università italiane per chiedere la loro collaborazione al mio nuovo progetto di ricerca: Teaching and Learning English at University during the Coronavirus emergency: a comparative study. Sono partita da alcune domande: Come è stata tradotta la didattica universitaria in presenza in lezioni a distanza? Le competenze digitali massicciamente sperimentate durante l’emergenza avranno effetti a lungo termine sulla didattica universitaria in presenza?
Non è disponibile molta letteratura sull’argomento dal momento che le analisi esistenti riguardano corsi pianificati per essere da subito online, blended o in presenza. Non esistono esperienze precedenti a cui ispirarsi, perché per gli occidentali è la prima volta che il sistema è stato costretto a migrare in brevissimo tempo sulle piattaforme digitali. Dall’inizio di marzo 2020 sto seguendo lezioni online e videolezioni registrate e sto somministrando questionari anonimi di riflessione sull’esperienza di insegnamento e apprendimento durante l’emergenza Covid-19 per raccogliere dati sulle difficoltà e sulle opportunità sperimentate in queste circostanze eccezionali. Nel novembre 2020 i docenti che hanno partecipato alla fase 1 riceveranno un altro questionario che investigherà la presenza del digitale nella loro didattica in aula.
Finora ho imparato che la comunità accademica italiana è grande, competente e pronta a dare il proprio contributo e quindi non posso che concludere questo racconto di ricerca con una nota positiva. Oltre a fare la conoscenza di docenti eccezionali ho avuto l’opportunità di osservare diverse strategie di presentazione dei contenuti e interessanti flussi di comunicazione che si realizzano durante le lezioni: considerata la mancanza di modelli consolidati il mio studio comparativo ha l’ambizione di trovare una chiave di lettura del fenomeno e di contribuire a dare un senso a questo momento, raccogliendo buone pratiche e identificando percorsi di formazione per i docenti affinché in caso di emergenze future nessuno sia un’isola.