Le ragioni realiste dell'invasione russa in Ucraina
Il governo russo ha tentato di giustificare la guerra in Ucraina attraverso una comunicazione faziosa ispirata al realismo politico delle relazioni internazionali. Tuttavia, risulta necessario ampliare il discorso pubblico sulla guerra, in quanto interpretazioni di parte e semplicistiche non sono adatte a spiegare un fenomeno complesso e sfaccettato come i conflitti armati.
“La pace duratura è un’illusione” è stato il commento di Petr Pavel, ex generale della NATO, pronunciato durante la sua vincente campagna elettorale per la presidenza della Repubblica Ceca. In queste parole risuona l’eco del realismo politico al quale si è ispirata anche la propaganda russa per giustificare l’invasione dell’Ucraina, offrendone però una lettura superficiale e di parte, che si è imposta nel discorso pubblico. Per questo motivo, secondo noi, occorre fare un passo indietro e fare alcune riflessioni nel merito della materia.
Il concetto di guerra e le motivazioni per l’utilizzo della forza armata da parte degli stati hanno sempre fatto parte delle teorie delle relazioni internazionali. Le diverse scuole di pensiero hanno offerto numerose spiegazioni per giustificare i conflitti, per prevedere quali comportamenti dei decisori politici possono provocare guerre e come gestire un eventuale riarmo di un paese confinante. Il realismo classico, che risale al pensiero di Tucidide e che in anni più recenti trova in Hans Morgenthau l’esponente di maggior spicco, mette in risalto l’uso delle capacità materiali proprie di uno stato e l’avvalersi di calcoli razionali per giustificare la violenza nei rapporti tra paesi. Da questo punto di vista, la decisione della leadership russa di invadere l’Ucraina può essere frutto di considerazioni puramente legate alla potenza della Russia, che nelle intenzioni di Putin avrebbe potuto vincere la guerra contro Kiev prima che gli Stati Occidentali arrivassero a inviare aiuti all’Ucraina e a imporre sanzioni contro Mosca.
Seguendo però l’evoluzione della disciplina realista possiamo aggiungere un altro livello di analisi per spiegare le ragioni dietro le azioni di uno stato. Lo studioso Kenneth Waltz ha sottolineato ad esempio il ruolo dell’anarchia nell’arena internazionale, cioè l’assenza di un’autorità che gli stati riconoscono come superiore: una nazione che percepisca di aver subito un danno non potrà rivolgersi a un’istituzione che tuteli la sua posizione. Il governo russo ha denunciato spesso le “aggressioni” da parte dei paesi NATO nei confronti dei suoi interessi in Ucraina: non potendo risolvere le controversie attraverso l’intervento di un organo super partes e considerando la diplomazia incapace di fornire una risposta adeguata alle sue richieste, l’uso della forza armata viene presentata da parte della leadership di Mosca come l’unica strada percorribile.
Tuttavia, l’interpretazione che ha prevalso sulle altre è quella che elimina il concetto di agency dalle mosse di Mosca, ovvero la capacità di decidere e agire autonomamente, ed è stata portata avanti non solo da commentatori russi, ma anche da importanti studiosi come John Mearsheimer: l’approccio del realismo offensivo, di cui lo studioso è un importante esponente, evidenzia come la paura sia la principale motivazione dietro le scelte dei decision makers. Così l’invasione dell’Ucraina non viene più considerata come una decisione dell’establishment di Mosca, ma come una semplice reazione automatica alle mosse occidentali, Stati Uniti in primis, colpevoli di voler ridurre una volta per tutte la potenza russa. La narrazione di Putin sposta, quindi, il focus dalle scelte fatte alle azioni vere o potenziali degli Stati Uniti, eliminando al tempo stesso la necessità di motivare la sua decisione e l’agency dell’Ucraina, prova della scarsa considerazione della leadership russa nei confronti di un governo che prima del 24 febbraio 2022 veniva percepito come debole e incapace di resistere alla forza dell’esercito di Mosca.
Una spiegazione convincente per le decisioni prese da Putin in Ucraina non può che avere diverse sfaccettature: dovrà prendere in esame il passato dei due paesi attualmente in guerra, le storie personali di Putin e dei maggiori stakeholder del potere russo, nonché analizzare la complessa arena internazionale che si è formata alla fine della Guerra Fredda e l’ascesa dei rivali degli Stati Uniti, Russia e Cina, che tuttavia non rappresentano una sfida al potere di Washington paragonabile al periodo della competizione globale tra USA e URSS. Infine risulta difficile accettare interpretazioni che non esaminino appunto la convinzione dell’esecutivo russo di vincere una guerra facile contro un avversario debole grazie a un Occidente stanco e diviso, per di più se si pensa che questa sicurezza è stata in una certa misura avallata nel dibattito pubblico internazionale, almeno all’inizio del conflitto e che si è scontrata poi contro la realtà della resistenza ucraina.