L'ultima estate in Siberia. Fiumi, dighe e coscienza ecologica nella letteratura russa
Il villaggio sommerso di Valentin Rasputin e Zona di allagamento di Roman Senčin sono due romanzi emblematici per studiare in ottica diacronica come la letteratura prima sovietica, in seguito russa, affronti il tema della costruzione dei grandi bacini fluviali artificiali, e delle conseguenze ecologiche e sociali che queste costruzioni comportano.
Se la cultura, come affermava il filosofo russo Pavel Florenskii, nella sua sostanza è un'attività di assimilazione dello spazio, la cultura russa si è ampiamente sviluppata come attività di assimilazione dello spazio dei fiumi e delle terre situate lungo le loro rive; la letteratura russa ha utilizzato spesso immagini fluviali come archetipi esistenziali.
In particolare, la letteratura sovietica ai suoi esordi ha contribuito ad affermare la triade “navigazione-elettrificazione-irrigazione”, dando origine a una cosiddetta “biblioteca idraulica”. Facendo propria l’ideologia dominante, gli scrittori (i lirici) celebrano gli ingegneri e gli scienziati idraulici sovietici (i fisici), e le loro colossali imprese di costruzione di canali e dighe, e di deviazione dei fiumi. Ne nascono romanzi imponenti, epopee che si potrebbero leggere come manuali d’istruzione per costruire una diga. Il cinquantenario della Rivoluzione bolscevica, tuttavia, segna un cambiamento nella storia delle lettere sovietiche. Infatti, una nuova generazione di scrittori si ritira in villaggi sperduti, in cerca della vita rurale russa da descrivere nelle proprie opere, e per la prima volta i lirici pongono dei punti interrogativi sul lavoro dei fisici.
È il caso di un giovane scrittore, Valentin Rasputin, che nel 1976 consegna per la stampa un manoscritto sulla vita di un villaggio siberiano, Il villaggio sommerso, in cui i censori non colgono l’atto d’accusa contro le opere idrauliche degli ingegneri sovietici. A distanza di circa 40 anni, quando ormai l’Unione Sovietica non esiste più, un altro autore di origini siberiane, Roman Senčin, nel romanzo Zona di allagamento (2015), affronta lo stesso tema della costruzione delle dighe sui fiumi, e delle conseguenze ecologiche e sociali che esse comportano. Entrambi i romanzi descrivono l’ultima estate di un villaggio della Siberia che sta per essere inghiottito dal bacino artificiale di una diga formato dallo sbarramento del fiume Angara, per cui il villaggio sarà sommerso e i suoi abitanti dovranno essere trasferiti. Per entrambi i villaggi le conseguenze ecologiche saranno rilevanti: nelle zone allagate gli ecosistemi mutano completamente. Quello fluviale e quello terrestre (la taiga) si trasformano nell’ecosistema del bacino idrico, che unisce le caratteristiche dell’ecosistema di fiume e di lago. La qualità dell’acqua del fiume peggiora in modo considerevole e, inoltre, a causa dell’indotto industriale, in inverno si osservano dei tratti di fiume di lunghezza fino a 60 km che non ghiacciano, con conseguente riscaldamento del territorio interessato e formazione di nebbie.
Fra i due romanzi ci sono delle differenze, dettate dall’epoca e dalla mutata situazione politica della Russia, tuttavia entrambi delineano uno schema per cui il “sistema” e “il mondo della vita”, di cui l’acqua fa parte, sono entrati in conflitto, secondo il modello proposto da Jurgen Habermas in Teorie dell’agire comunicativo. Il “sistema” è qualcosa di rigidamente disciplinato dall’agire tecnico, strumentale e strategico: esso trova i suoi elementi caratterizzanti nel denaro e nel potere. Il “mondo della vita” è definito dall’agire comunicativo, da valori condivisi, da spontaneità, da tradizioni. Quando il “sistema” cerca di intromettersi nel “mondo della vita”, ne minaccia l’esistenza. Per questo occorre difendere “il mondo della vita” dai reiterati tentativi di colonizzazione violentemente esercitati dal “sistema”.