La regalità del giglio, l'aridità del fico. Salute delle piante nella tradizione cristiana
Nella Bibbia la salute delle piante, attraverso simboli e metafore, è un mezzo per veicolare messaggi ai credenti e stimolarli alla buona condotta. L’attenzione al mondo vegetale è spesso finalizzata alla sua utilità per l'essere umano, che vive in società agricole dove ogni pratica che favorisce la fertilità del suolo appartiene alla sfera del sacro. La nuova coscienza ecologica stimolata dall'attuale Pontefice è forse un tentativo di superamento dell’antropocentrismo?
Ne abbiamo parlato con Francesco Galofaro e Marco Papasidero, rispettivamente semiotico e storico del cristianesimo.
"Le piante costituiscono la base della vita sulla Terra e sono il pilastro più importante della nutrizione umana", così il Direttore Generale della FAO Qu Dongyu, lanciando, a fine 2019, l’Anno internazionale della salute delle piante.
Questa consapevolezza è ben presente nelle tradizioni religiose, come per esempio in quelle monoteiste, e si manifesta in particolare nel valore spirituale delle piante per l’immaginario religioso e nella consapevolezza del loro essere al centro dell’esistenza umana. Un aspetto che è riscontrabile nella simbologia delle Sacre Scritture, dall’albero della vita della Genesi ai diversi alberi citati nella Bibbia. Ci volete fare qualche esempio specifico?
Francesco Galofaro - In Deuteronomio 8 , 6-9 (Antico Testamento) la terra promessa è un “buon paese” di corsi d’acqua e di fonti, zampillanti dalle profondità delle valli e sui monti, di frumento e d’orzo, di vigne, di fichi e melograni, di olivi e di miele, in cui il pane non sarà misurato e non mancherà nulla. In genere, nella Bibbia l’abbondanza è interpretata come il premio per aver rispettato la volontà di Dio; la carestia è causata dalla disubbidienza: “tu sarai maledetto in città e maledetto nei campi. Maledetto sarà il tuo paniere e la tua madia. Maledetto sarà il frutto del tuo ventre e il frutto della tua terra; maledetti i nati delle tue mucche e quelli del tuo gregge” (Deut. 28, 16 - 18). Nel Levitico e nel Deuteronomio, la legge di Dio assicura il funzionamento di una società che dall’agricoltura trae il suo sostentamento e tutto è consegnato alla sfera del sacro e del rapporto dell’uomo con il suo Dio.
Marco Papasidero - Piante e fiori sono presenti anche nel Nuovo Testamento. Il giglio di campo nel Vangelo di Matteo è per esempio citato quale simbolo dell’attenzione di Dio per le sue creature e, dunque, ancor di più per l’uomo: “per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?” (Mt. 6, 28 - 31). Di segno opposto è l’episodio della maledizione del fico, in cui Gesù, “mentre rientrava in città [Gerusalemme], ebbe fame. Vedendo un albero di fichi lungo la strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: “Mai più in eterno nasca un frutto da te!”. E subito il fico seccò.” (Mt. 21, 18 - 19). L’episodio ha un forte valore simbolico: l'albero che non produce frutto è in genere interpretato come Israele.
Ci sono esempi specifici in cui traspare la consapevolezza dell’importanza della salute delle piante? Pensiamo per esempio all’episodio - divenuto proverbiale - dell’invasione delle cavallette nel contesto delle 10 piaghe scatenate da Dio sull’Egitto che teneva prigioniero il popolo d’Israele.
MP - Gli esempi che ho appena citato contengono alcuni riferimenti impliciti alla salute delle piante che diventa un mezzo per veicolare messaggi indirizzati all’essere umano. Il giglio, in tutta la sua bellezza e maestosità, vestito in modo regale, appare nella sua condizione migliore, di piena “salute”, tanto da essere più splendente di Salomone. Al contrario, l’aridità che colpisce improvvisamente il fico maledetto da Gesù è metafora di chi non ha fede in Dio e non segue il suo insegnamento.
FG - Tornando invece all’Antico Testamento un episodio molto noto è il sogno di Faraone: sette spighe piene e belle sono interpretate dal veggente come sette anni di abbondanza; sette anni di carestia invece corrispondono a sette spighe brutte e magre, che, nella vulgata latina, San Girolamo traduce tenues et percussae uredine. “Uredo” è il nome latino di una malattia dei cereali che riduce la spiga a una massa pulverulenta, e che oggi sappiamo essere causata da un fungo (Tilleta caries). Oltre alle cavallette che giustamente avete ricordato, e che ricorrono anche nel Deuteronomio come punizione divina, tra le piaghe d’Egitto abbiamo la grandine che abbatte alcuni cereali. Nella cultura del tempo non si distinguono nettamente la sfera di significati sacri e quella laica: nella Bibbia, tutto quel che accade è necessitato dalla volontà divina. Ad esempio, l’usanza di lasciar riposare i campi ogni settimo anno, per favorire la fertilità del terreno, viene attribuita al volere divino (Levitico 25, 1-7).
Per avvicinarci al progetto Nemosancti, diretto dalla professoressa Jenny Ponzo e di cui fate parte, cosa si può dire del legame salute umana-piante?
MP - All’interno del progetto ci occupiamo dei nuovi modelli di santità dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965). Esistono però figure agiografiche più antiche, ad esempio medievali, che oggi tornano in auge. Ildegarda di Bingen (1098-1179), recentemente canonizzata, è tra queste. Profetessa, guaritrice, scienziata, musicista, tra i suoi interessi ci sono gli esseri animati e inanimati, creazione di Dio. A questi dedica il Libro delle creature (Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum) dove molto spazio hanno gli alberi, le piante, i fiori - ma anche gli animali e i minerali - colti nel loro potenziale di aiuto all’uomo: per ognuno vengono indicati gli effetti, benèfici e non, sull’essere umano e talvolta sugli stessi animali, e alcuni farmaci di cui si indica la “ricetta” spesso hanno proprio le piante tra i loro ingredienti.
FG - Un aspetto centrale del progetto Nemosancti che avete citato è la divulgazione del nostro lavoro, da cui provengono ispirazioni per proseguire la ricerca. Ad esempio, dalla partecipazione alla giornata internazionale del fascino delle piante dello scorso anno è nato un numero speciale della rivista “Ocula” sul loro significato religioso. Abbiamo ricevuto contributi interdisciplinari di orientalisti, studiosi di letteratura, storici, oltre che, naturalmente, semiotici. Tutti gli studi mostrano come la flora fornisca un mezzo concreto per veicolare valori di carattere astratto, intangibile e sacro. Nel mondo mesopotamico le piante esprimono, per esempio, il nesso tra la nozione di regalità e quella di divinità e la fertilità del Paese è assicurata dall’unione sacra del re e della dea. I poemi che la cantano riportano molte notizie sugli usi delle piante in ambito igienico, cosmetico, rituale, edile, oltre che alimentare e ci restituiscono il ritratto di una società avanzata sul piano letterario, estetico, tecnico.
L’impressione è che nella tradizione giudaico-cristiana le piante, come anche gli animali, sono intese in senso utilitaristico, per migliorare o raggiungere la salute e il benessere umani. Il che corrisponde a una visione strettamente antropocentrica che ha caratterizzato sin dalle origine le religioni monoteiste e il cristianesimo nello specifico. Con Papa Bergoglio e la sua particolare attenzione all’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, si intravede una svolta?
FG - Come abbiamo visto prima, alle origini del monoteismo le benedizioni e le maledizioni divine sono sempre molto ”concrete”: non riguardano un aldilà trascendente. Il campo d’azione di Dio è la natura. Un aspetto che si attenua nel cristianesimo, con notevoli eccezioni, però. Tra queste il Cantico delle creature di San Francesco. Proprio a lui si ispira Bergoglio nell’enciclica Laudato sì, con cui la Chiesa lancia il progetto di un ecologismo integrale, che considera anche la peculiare ecologia sociale e umana come terreno di intervento. La Chiesa cattolica possiede la forza organizzativa e la capillarità necessaria per poter cambiare i rapporti di produzione che attualmente minacciano l’ecologia del pianeta. Per occuparsene legittimamente, però, deve reintegrare nella sfera religiosa ciò che le è stato sottratto dalla società laica. Allo stesso tempo occorre notare che il discorso ecologista, in assenza di forme specifiche per rappresentare la minaccia ambientale, ha preso in prestito quelle del discorso religioso, e in particolare quelle apocalittiche. L’apocalisse descrive una terribile catastrofe ecologica, con tanto di pandemie pestilenziali, crisi economiche connesse (carestia), desertificazione, estinzioni di massa: “Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò.” (Ap. 8, 7). Forme religiose da non identificare col mero catastrofismo, perché includono la promessa escatologica di una ripartenza (verde), di un mondo nuovo (più solidale), che oggi riguarda anche le maggioranze moderate che governano l’Europa. Fermo restando che il riscaldamento globale e l’estinzione sono una minaccia concreta, dicendo questo voglio affermare che la società umana continua a fondare le discussioni su codici religiosi, in assenza di codici specifici del discorso politico. Dunque, non è strano né sorprendente che la Chiesa cattolica tenti di riappropriarsene.
MP - Aggiungo che il cristianesimo, come tutte le religioni e i fenomeni culturali, è una realtà estremamente ricca e variegata. Nei casi che abbiamo citato, come per esempio quello di Ildegarda, esso non propone una vera e propria visione antropocentrica dato che l’utilità delle piante per l’uomo si spiega sempre alla luce di profonda relazione tra le creature. Francesco d’Assisi poi, nel suo celebre Cantico, loda ciò che è creazione di Dio, conferendole un valore per questo motivo. Il suo interesse incontra le creature più gioiose, come il sole, l’acqua, la terra, ma anche quelle apparentemente più insidiose, e generalmente respinte, come la morte. Essa diviene dunque “sora nostra morte corporale”, in quanto parte del disegno divino che riguarda ognuno. Il creato di cui parla Bergoglio nella sua enciclica è un tornare a chiamare in causa il complesso della “creazione” che, se ci pensiamo, è posta all’inizio del primo libro della Bibbia, Genesi. Più che di una svolta si potrebbe forse parlare di un ritorno alle origini.