Intervista
Luigi Bertolotti
Antonio D'Angelo
Claudio Bellino

Chiedi ai veterinari! La ricerca risponde ai tuoi dubbi su Covid e mondo animale

Avete curiosità sul mondo veterinario e degli animali in relazione al Covid-19? Le ricercatrici e i ricercatori del Dipartimento di Scienze Veterinarie sono a disposizione! Consapevoli della necessaria cautela nel rispondere a questioni legate a una infezione di cui pochi sanno ancora troppo poco, e volendosi concentrare sulla loro area di competenza - gli animali e le relazioni con l’essere umano - ricercatori e ricercatrici intendono mettere a disposizione la competenza propria e di tante e tanti autorevoli studiose e studiosi della comunità scientifica.

Dipartimento / Struttura
Scienze Veterinarie
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HAI DOMANDE DA PORRE? SCRIVILE QUI E I VETERINARI TI RISPONDERANNO AL PIÙ PRESTO.

Abbiamo raccolto le vostre domande dividendole in tre macro-aree: virologia, veterinaria clinica e sicurezza alimentare.
Qui di seguito trovi le risposte relative al primo tema: gli aspetti strettamente legati al virus e al contagio tra essere umani e tra animali e umani.
Qui e qui trovi domande e risposte relative agli altri due temi.

È noto che il virus si possa trasmettere tramite particelle salivari derivanti da uno starnuto o da un colpo di tosse ma è possibile che Covid-19 si trasmetta soltanto tramite l'espirazione profonda di una persona?
Luigi Bertolotti: Tutte le goccioline di saliva, che siano veicolate da uno starnuto o da un colpo di tosse o anche semplicemente parlando, sono da considerare una via di trasmissione. Un’espirazione profonda può aumentare la propagazione delle goccioline, quindi, è da considerare rischiosa. Proprio per questo è fondamentale rispettare le regole di distanziamento sociale in atto in questo momento, ed evitare il più possibile i contatti non necessari

Esiste possibilità di contagio del virus da fumo passivo?
Luigi Bertolotti: Il fumo è sicuramente un fattore di rischio per lo sviluppo di sindromi respiratorie; altro fatto ormai confermato è la trasmissione via aerea (“droplets”) di Covid-19 tramite il contatto ravvicinato tra un soggetto infetto e un soggetto suscettibile. Ma al momento non c’è nessun dato che possa suggerire o supportare l’ipotesi che il fumo passivo aumenti il rischio di infezione da Covid-19

Esiste una maggior tolleranza all'infezione da Covid-19 per chi ha contatto con cani o bovini?
Claudio Bellino e Antonio D'Angelo: Come tutte le domande che riguardano la pandemia da Covid-19 la risposta deve essere, allo stato attuale, molto prudente perché al momento su questo virus si sa poco. In ogni caso è già circolata notizia dei risultati preliminari di alcune ricerche come quella che vede coinvolti ricercatori e ricercatrici di diversi istituti italiani, pubblicata su Microbes and Infection, la rivista dell’Istituto Pasteur di Parigi. La ricerca si concentra sugli epitopi, in grado di stimolare la reazione immunitaria dell’organismo, della proteina spike che permette al virus di entrare nelle cellule che aggredisce. L’evidenza da cui si parte è che alcuni di questi epitopi sono molto simili tra i vari tipi di coronavirus umani, di cane e di bovino. Visto che i coronavirus di questi animali non sono in grado di provocare malattia nell’essere umano l’ipotesi, al momento ancora tutta da dimostrare, è che chi ci vive vicino potrebbe essere stimolato, se questi fossero infetti dal loro coronavirus, a dotarsi di difese immunitarie “naturali”, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19. Sottolineando che l’ipotesi è tuttora da dimostrare, la ricerca è molto interessante.

Esistono studi che dimostrino la possibilità di contagio anche da parte di animali domestici?
Luigi Bertolotti: a oggi gli studi sulla risposta degli animali a Covid-19 sono ancora limitati: il cane di Hong Kong è risultato positivo ai test diagnostici diretti, ma il test di neutralizzazione virale ha dato esito negativo. Successivamente sono stati segnalati altri due cani, sempre in Hong Kong, di cui uno è risultato positivo alla diagnostica diretta. Nei giorni scorsi è giunta la notizia di un gatto positivo (sempre diagnostica diretta) in Belgio, ma l’OIE (World Organisation for Animal Health) non lo ha ancora notificato. Tutti i casi descrivono comunque animali i cui proprietari erano stati identificati come positivi a Covid-19. A oggi non ci sono prove che gli animali possano sieroconvertire, sviluppare cioè anticorpi contro il virus né, soprattutto, possano trasmettere l'infezione all’uomo. Rimangono valide tutte le norme igieniche che sono consigliate dall’inizio dell’epidemia, e devono essere applicate anche al contatto con gli animali domestici.

Esiste un’analogia sui genomi del coronavirus felino e quello umano?
Luigi Bertolotti: Cani e gatti possono essere infettati da altri virus della famiglia Coronoviridae (Canine Coronavirus e Feline Coronavirus) ma entrambi appartengono al genere Alphacoronavirus, Sars-Cov-2 appartiene alla stessa famiglia ma ad un genere differente, quello dei Betacorinavirus. L’appartenenza a due generi diversi è testimoniata da una non identica struttura del genoma virale e di conseguenza a una bassissima similarità. L’allineamento dei geni omologhi - cioè la comparazione dei genomi gene per gene - mostra una similarità tra i due generi di circa il 45%, raggiungendo il 35% se l’allineamento è basato sul gene che codifica la proteina spike, responsabile del legame con i recettori delle cellule bersaglio

Il furetto e alcuni felidi sembra siano i soggetti più sensibili nel contrarre il Covid-19 dall'uomo. Potrebbero essere sottoposti a sperimentazione del vaccino per l’uomo e necessitare a loro volta un vaccino specifico?
Barbara Colitti: I "dati disponibili" di cui si parla fanno riferimento all'unico studio (cinese) disponibile ad oggi. Nello studio in oggetto solo i gatti ed i furetti sono risultati suscettibili al virus ma dobbiamo considerare che sono stati esposti a dosi infettanti, ossia a cariche di virus, molto più elevate di quanto si può invece verificare in natura. Ma in realtà la vicenda gatti e coronavirus è una storia che si ripete, già con l'epidemia di Sars del 2003 i gatti erano risultati gli animali più suscettibili al virus. Questo non significa però che siano in grado di trasmettere l'infezione all'uomo ma solo che siano suscettibili ad essere infettati dall'uomo e non viceversa. I pochi casi segnalati inoltre dimostrano come nel gatto l'infezione sia autolimitante, il che non giustificherebbe una campagna di vaccinazione in questi animali. Sicuramente lo studio citato conclude comei furetti possano essere idonei per la sperimentazione del vaccino o di farmaci antivirali nell'uomo poichè il virus sembra replicare efficacemente nelle vie aeree superiori di questi animali. Tuttavia l'urgenza dettata dalla pandemia in corso potrebbe far by-passare tutta la fase di sperimentazione sugli animali, per concentrarsi sul reale target di questo virus che è e rimane l'uomo.