Come si scopre un parassita? La storia di Sarcocystis sigmoideus
Pochi micrometri di diametro, una spessa parete ricca di protrusioni ricurve e, al suo interno, parecchie centinaia di strutture lanceolate: è il ritratto di Sarcocystis sigmoideus, un parassita protozoo scoperto all’Università di Torino il 19 gennaio 2024. E questo è un breve racconto della lunga storia che ci ha portato a fare la sua conoscenza, all’interno delle fibre muscolari di un bovino affetto da una malattia ancora enigmatica.
La miosite eosinofilica bovina è una patologia muscolare infiammatoria che si manifesta con la comparsa di macchie grigio-verdastre sulla muscolatura dei bovini che ne sono affetti. Questa miopatia è solitamente asintomatica per i bovini, e dunque non rilevabile nell'animale vivo, ma è associata a spreco alimentare e gravi perdite economiche per gli allevatori: la carne infetta, difatti, non può essere commercializzata e viene dunque distrutta. L’origine della miosite eosinofilica è ancora incerta, e probabilmente multifattoriale. Ciò che sappiamo però, è che le lesioni derivanti dalla miosite eosinofilica sono spesso associate alla presenza di parassiti appartenenti al genere Sarcocystis.
Il genere Sarcocystis include un gruppo di parassiti protozoi intracellulari a distribuzione cosmopolita, che comprende oltre 220 specie note, in grado di infettare mammiferi, uccelli e rettili. Le specie appartenenti al genere Sarcocystis hanno un ciclo di vita, definito “preda-predatore”, a due ospiti: hanno infatti bisogno di un erbivoro o di un onnivoro come ospite intermedio e di un carnivoro o di un onnivoro come ospite definitivo, il quale elimina le oocisti o le sporocisti del parassita con le feci. Gli ospiti intermedi, tra i quali sono inclusi i bovini e nei quali i parassiti si insinuano all’interno delle fibre muscolari assumendo una forma cistica, si infestano assumendo alimenti o acqua contaminati. Gli ospiti definitivi, tra i quali sono inclusi gli esseri umani, si possono infestare ingerendo carne cruda o poco cotta contenente le cisti vitali.
Nell’autunno del 2020, io e il mio gruppo di lavoro del settore di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale (Dipartimento di Scienze Veterinarie - UniTO) eravamo alle prese con un’indagine volta a investigare la presenza di diverse specie di Sarcocystis in bovini affetti da miosite eosinofilica. Con l’aiuto di una tecnica di biologia molecolare, definita multiplex-PCR, avevamo evidenziato la presenza di quattro diverse specie note di Sarcocystis nei nostri campioni: Sarcocystis cruzi, i cui ospiti definitivi sono i canidi, Sarcocystis hominis, con il quale possono infestarsi gli esseri umani, Sarcocystis bovifelis e Sarcocystis hirsuta, il cui ciclo vitale si completa nei felidi.
Tuttavia, uno dei frammenti di DNA ritrovati nella muscolatura dei bovini non somigliava a nessuna delle specie di Sarcocystis note, né ad altri microrganismi le cui sequenze di DNA siano depositate sui database internazionali. Un frammento di DNA di meno di 200 paia di basi: tanto è bastato per farci sospettare l’esistenza di una nuova specie all’interno delle fibre muscolari di uno dei bovini affetti da miosite che stavamo esaminando. Il nostro parassita ignoto attendeva silente di essere scoperto, descritto e infine nominato.
Ma come si descrive una nuova specie? Per poter fare il suo ingresso in società, un nuovo parassita ha bisogno di un ritratto veritiero e completo, ossia di una buona caratterizzazione molecolare e morfologica. A tal fine, ci siamo quindi prodigati nell’amplificazione e nel sequenziamento di due geni del protozoo sconosciuto, il gene ribosomiale 18S rRNA e il gene mitocondriale Cox1 (Citocromo C ossidasi 1). Le sequenze generate, grazie ad una rapida indagine bioinformatica, ci hanno confermato l’unicità della specie che avevamo tra le mani.
Non ci restava altro da fare che descrivere morfologicamente la nuova specie, ovvero isolare il microscopico parassita e immortalarne per sempre l’aspetto con una o più fotografie. Per fare ciò, siamo volati fino in Svizzera, all’Università di Berna e ci siamo avvalsi dell’ausilio di diverse tecniche di microscopia: ottica, elettronica e a trasmissione. È così che il parassita si è mostrato a noi per la prima volta: una microscopica ciste di forma allungata, dal diametro di poche decine di micrometri, con all’interno migliaia di strutture lanceolate racchiuse da una parete composta da una fitta rete di protrusioni ricurve, o sigmoidali.
Sarcocystis sigmoideus è nato il 19 gennaio 2024. Di lui sappiamo solo che ama trascorrere le sue giornate all’interno della confortevole muscolatura dei bovini, in attesa che un ospite definitivo, di cui non sappiamo ancora nulla, lo aiuti a completare il suo ciclo. La sua storia è iniziata in un laboratorio dell’Università di Torino, ma il suo futuro è ancora tutto da scrivere.