Da Google ai laboratori di UniTo, uno strumento per comprendere meglio le Malattie Rare
Abbiamo sviluppato un metodo innovativo basato su modelli computazionali che permettono di studiare le mutazioni responsabili di patologie genetiche. Tale approccio consente di personalizzare i trattamenti contenendo i costi, soprattutto nel caso di malattie rare. In questo contesto, l’applicazione dell’intelligenza artificiale è un passo significativo per l’automatizzazione del processo che porta a nuove terapie, tuttavia - come dimostra l’esperienza che vi raccontiamo - resta fondamentale la collaborazione tra persone, associazioni e imprese per rendere tangibili i risultati della ricerca.
Nel corso degli ultimi tre anni, il nostro gruppo di ricerca CASSMedChem, presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, si è dedicato allo studio di malattie ultra-rare di origine genetica. Per comprendere meglio cosa intendiamo per "ultra-rare", dobbiamo considerare una classificazione delle malattie secondo criteri stabiliti dall'Unione Europea. Queste patologie vengono suddivise in base alla prevalenza in tre categorie: comuni, rare ed ultra-rare. Quando ci riferiamo a una malattia "ultra-rara", stiamo indicando una condizione patologica che interessa un individuo ogni 50.000 abitanti, stiamo parlando cioè dello 0.002% o meno della popolazione.
Il problema maggiore è che il basso numero di pazienti rende economicamente poco vantaggioso lo sviluppo di farmaci ad hoc da parte delle aziende farmaceutiche, soprattutto considerando che oggi sviluppare un farmaco può costare anche svariati miliardi di euro. Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che le patologie genetiche sono dovute a mutazioni spesso diverse da paziente a paziente, per cui serve un approccio il più possibile personalizzato.
Noi ci occupiamo di chimica farmaceutica, affrontata con l’ausilio di tecniche computazionali, e di fronte a questa problematica ci siamo chiesti quale potesse essere il nostro contributo.
Abbiamo deciso di restringere il nostro campo di indagine alle paralisi spastiche ereditarie, un gruppo di patologie rare che comportano una progressiva riduzione della deambulazione e dei movimenti volontari. Nello specifico, ci siamo concentrati sulla IAHSP, paralisi infantile dovuta a forme mutate della proteina Alsina, di cui non si conosce la struttura. Ed è proprio in questi casi che si vedono le potenzialità delle tecniche computazionali: se consideriamo che le mutazioni genetiche sono errori nel codice che il nostro corpo utilizza per produrre le proteine, proprio le tecniche digitali possono aiutarci a visualizzare e a comprendere la forma delle proteine mutate.
Noi abbiamo utilizzato AlphaFold 2, uno strumento sviluppato da Google basato su reti neurali che permette di predire e rappresentare strutture proteiche 3D. Grazie ad esso siamo stati in grado di creare modelli - specifici per ogni paziente affetto da IASHP - delle varianti mutate della proteina in questione.
Inoltre, grazie a una collaborazione tra il nostro Dipartimento la fondazione per il trasferimento tecnologico LINKS, a partire dai modelli abbiamo potuto effettuare stampe in 3D, per meglio comprendere i cambiamenti strutturali. Abbiamo poi provato a combinare diverse molecole e a simulare il loro comportamento e l’interazione con le varianti della proteina Alsina per individuare quelle in grado di legarsi alla struttura mutata, ripristinando la sua funzione. Una di esse è correntemente approvata in Giappone per trattare l’osteoporosi. Questo è un risultato molto importante, poiché i farmaci approvati rispettano rigorosissimi standard di sicurezza, processo che richiede la maggioranza del tempo e delle risorse volte allo sviluppo farmaceutico. In questo senso, ci siamo trovati in un’ottima situazione, visto che avevamo tra le mani un farmaco sicuro da “proporre” per un uso terapeutico alternativo.
Le proteine sono oggetti microscopici ma “solidi” ed è possibile modellizzarli per capirne le proprietà. Nella figura 1, a sinistra è rappresentata una porzione della proteina Alsina con il farmaco da noi identificato ad essa legato; a destra un modello stampato in 3D per gentile concessione del Dipartimento che permette di apprezzare l’interazione.
L'impiego in questo campo di strumenti come AlphaFold, basati sull'intelligenza artificiale (IA), rappresenta un passo significativo verso la comprensione e il trattamento delle malattie rare. Dal punto di vista clinico, l’IA può aiutare ad analizzare dati diagnostici e clinici per identificare modelli comuni tra pazienti con malattie rare, migliorandone la classificazione e la comprensione delle manifestazioni sintomatiche. Dal punto di vista biomedico e farmaceutico, gli strumenti computazionali sono utilizzati per comprendere, a un livello più profondo, i meccanismi molecolari delle patologie e migliorare la modellizzazione molecolare per lo sviluppo di nuovi farmaci.
Chiaramente ci vuole cautela: le predizioni sono molto utili, ma devono essere testate sperimentalmente. Una fase del nostro progetto è infatti consistita nell’identificare gli esperimenti fondamentali per testare le nostre ipotesi e andare avanti.
Ora, la scienza funziona e svolge il suo ruolo solamente se collaborativa, in una dinamica dove le diverse competenze sono messe al servizio di un obiettivo comune. Proprio per questo, parte del nostro lavoro è stata intessere una fitta rete di collaborazioni nazionali e internazionali (fig. 2) allo scopo di mettere insieme un “dream team” che potesse partecipare a un processo d’indagine personalizzato per le persone affette da malattie rare. E non si tratta solo di scienziati e scienziate, perché un ruolo fondamentale lo giocano anche le associazioni di pazienti e familiari.
Ad esempio, nel caso della nostra prima paziente IAHSP, abbiamo ottenuto un’importante validazione delle nostre predizioni grazie alla collaborazione con un professore dell’Università Tokai (Giappone), così come grazie a colleghe e colleghi delle Università di Torino e di Trieste, ma niente sarebbe stato possibile senza il sostegno dell’associazione torinese Help Olly. Crediamo che questo sforzo vada nella direzione giusta e, per ora, abbiamo ottenuto un risultato oltre le aspettative: il comitato medico che segue la nostra paziente numero uno ha approvato la terapia con il farmaco da noi identificato!
Un’altra collaborazione fondamentale è proprio quella con i medici che si occupano della paziente: loro sono il contatto più diretto e deve esserci una costante comunicazione per tradurre i risultati della ricerca scientifica in trattamenti concreti.
Ci siamo infine interrogati sulla portata di un approccio che utilizzi metodi computazionali a monte e che si basi su collaborazioni specifiche a valle, se si possa cioè applicare anche ad altre patologie. Lavorando insieme a clinici anche di altri paesi, siamo giunti alla conclusione che sì, cambiano le patologie, ma l’approccio resta valido: attraverso la visualizzazione e analisi di varianti proteiche patogene otteniamo un necessario, e spesso sottostimato, guadagno di informazione.
Come andare oltre? Di recente abbiamo stabilito una collaborazione con la startup canadese SevenTM, che si occupa di innovazione e ha come mission quella di automatizzare i processi di Drug Discovery. L’idea è che in futuro i protocolli automatizzati possano progettare in autonomia gli esperimenti chiave ed essere fruibili per un ampio pubblico di specialisti del comparto sanitario.
L’applicazione di sistemi di intelligenza artificiale si sta rivelando molto utile nella scoperta di farmaci personalizzati per le malattie rare, tuttavia - come dimostra la nostra esperienza - rimane fondamentale l’integrazione delle competenze umane e la comunicazione tra i vari attori coinvolti al fine di tradurre la ricerca in benefici tangibili per le persone.