Prove di futuro tra narrazioni distopiche, religione e digitale
Dalle certezze computazionali all’infinito dell’umano. Con l’aiuto dei nostri studenti, nativi digitali, proviamo a immaginare il dopo Covid-19 a partire da scenari che sino a oggi solo la narrazione distopica ha affrontato. Così l’incertezza diventa progetto nel momento in cui l’arte cinematografica dischiude ragionamenti e posture non più solo immaginifiche. Con alcune attenzioni.
Covid-19 ci ha portati in un mondo nuovo e diverso, ignoto e incerto, rapinando il presente di certezze e posture, a partire dalle regole della prossemica - le regole della comunicazione in presenza o in prossimità - che è mutata in toxemica: dai vantaggi ai guai dello stare vicini. Per farvi fronte non basterà trasferire - con qualche aggiustamento - il passato nel futuro o cercare le costanti delle pandemie della storia come pilastri di partenza. Per molti la frattura è insanabile.
Tra le grandi novità il fatto che la pandemia ha accelerato la rivoluzione tecnologica: il digitale permette didattica, relazioni, perfino il mantenimento delle pratiche di fede. Però gli studi esistenti sulle possibilità e i limiti del digitale, come gli ultimi di Luciano Floridi o i classici come Luciano Gallino, non bastano a progettare il domani. Possiamo ad esempio chiederci: i recenti standard esistenziali digitalizzati si manterranno in futuro eliminando buona parte della nostra corporeità materiale in favore di una immateriale? Come ricercatori ci proponiamo di mettere in campo riflessioni e strumenti che aiutino a comprendere questi scenari in tempi ragionevoli, in vista di un necessario disegno e governo e affinché non sia una sorta di determinismo tecnologico a sciorinarci il futuro.
Cercheremo nella letteratura distopica, leggendola con alcune delle costanti storiche affidabili che accompagnano l’umano. Desumeremo la griglia di lettura da una narrazione dell’umano e della società che sia stata capace di attraversare la storia con una apprezzabile resilienza, capacità adattiva e generatività antropica, la capacità cioè di custodire e permettere lo sviluppo della vita: si tratta delle narrazioni delle grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islam. In particolare ci focalizziamo su tre aspetti che ne sono il distillato sociale e che rinveniamo tanto nella nostra carta costituzionale quanto nei trattati dell’Unione Europea: i principi del bene comune, di sussidiarietà e di solidarietà (ad es. Costituzione art. 2, 13, 35-47, 118).
Ma il progetto ha anche una sua particolare e prioritaria destinazione: i nativi digitali, i giovani studenti del corso “Spiritualità delle tecnologie emergenti” accompagnati da noi, che siamo analogici e migranti digitali: questo permetterà di formare un arco di visuale intergenerazionale e transculturale che conferisce maggiore prospettiva. Ci concentreremo sulla narrazione distopica così come si manifesta nell’arte cinematografica che nell’immediatezza dell’immagine fa emergere tanto le precomprensioni quanto le intuizioni futuribili, distillata in alcuni cortometraggi apprezzabili per forma, sostanza e codici narrativi proposti nel canale digitale DUST che, a nostro avviso, raccoglie la migliore produzione mondiale di questo genere. Ne sono un esempi i film Connected e The iMom.
Gli esiti di questa ricerca sono ancora in corso, ma con alcune prime avvisaglie in fase di raccolta e in via di pubblicazione in diversi contributi. Iniziamo qui a riportare alcune delle considerazioni emerse finora.
La pandemia ci fa uscire dal felicismo tecnologico, da happyism, quella nuova ideologia della felicità a tutti i costi, più sfoggiata che reale, e ci riporta al senso del limite e dell’imponderabile, noi che abbiamo fatto del ponderabile, del misurabile, il nostro feticcio rassicurante. Le certezze dei numeri vanno in frantumi di fronte alla morte di un nonno, e l’intelligenza artificiale non restituisce il bisogno di una carezza. Gli orizzonti distopici narrano che la morte si camuffa, ma preme ugualmente sulla storia, e che lo schermo non difende - quando addirittura non offende di più. La macchina è un fantastico servitore, ma quando crea dipendenza non conosce alcuna limitazione, anzi tende a un per sempre in cui di rado l’essere umano ha uno spazio opportuno. D’altra parte il digitale permette di tracciare mondi virtuali in cui sperimentarci e la pandemia ci ricorda che vale la pena tracciare qualunque mondo perché velocemente l’immateriale bussa poi alla porta di casa: se la morte improvvisa degli anziani porta via la memoria, il digitale, che ci garantisce di avere delle radici, va usato prima che queste siano recise.
Lavori in corso dunque, con una sorpresa: i nativi digitali “usano” ma conoscono poco, “immaginano” sì, ma con qualche tremore. Così l’intergenerazionalità non smette di essere un dono.