Storia di sinergia

Virginia Woolf a Torino: donne, stereotipi, città

Questo contenuto fa parte del tema del mese: Rivoluzioni

La città può oggi dirsi in grado di assicurare alla donna una piena e libera fruizione? Quali stereotipi di genere e socioculturali sembrano ancora agire sul ruolo ascritto alla donna? Quali azioni concrete possono essere intraprese, in termini di formazione, pratiche e politiche urbane, per contrastare le asimmetrie di genere?
L’intitolazione a Virginia Woolf di uno spazio pubblico a Torino ci offre l’occasione per riflettere sul rapporto fra le donne e la città: l’analisi di alcuni testi letterari dei primi decenni del ‘900 ci consentirà di capire come questo sia mutato nel tempo. 

Dipartimento / Struttura
Studi Umanistici
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Studi Umanistici

La figura del flâneur che vaga, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, per la nascente metropoli moderna assorbendone gli stimoli, viene comunemente pensata e ritratta come maschile. È possibile, però, immaginare anche un modello di donna che potesse fruire della città con le stesse libere modalità, la flâneuse? Se sì, quale momento di rottura degli stereotipi di genere essa rappresentava? E oggi, a più di un secolo di distanza, si può dire che tali stereotipi siano superati? 

Nel panorama contemporaneo, i risultati delle indagini sulla qualità della vita delle donne nelle città, così come il tentativo di promuovere modelli urbanistici che tengano conto dell’inclusione di genere, indicano la città come spazio ancora pensato principalmente per la fruizione maschile, suggerendo che gli stereotipi di genere operino ancora attraverso modelli sociali e comportamentali che limitano l’affermazione e la sicurezza della donna nel contesto urbano.

Nella nostra città, nell’ambito delle attività promosse dall’Associazione Toponomastica Femminile, che dal 2014 cerca di restituire voce e visibilità alle donne che hanno contribuito a migliorare la società, i giardini pubblici di Via Bertolotti saranno intitolati a Virginia Woolf.  La proposta è stata avanzata dalle associazioni Virginia Woolf Project e SeNonOraQuando? Torino insieme a una laureata del Dipartimento di Studi Umanistici, Valentina Borla, che proprio alla figura della flâneuse in Woolf aveva dedicato la sua tesi di laurea magistrale. 

Scivolava attraverso tutto come un coltello; allo stesso tempo era fuori, ad osservare. Aveva una perpetua impressione, guardando i taxi, di essere fuori, fuori nel mezzo del mare, e sola; aveva sempre la sensazione che fosse molto, molto pericoloso vivere anche solo un giorno”.
Virginia Woolf, Mrs Dalloway

Con il progetto Cento anni di flânerie al femminile. Donne e spazio urbano dal testo letterario all’esperienza contemporanea vogliamo valorizzare questa importante dedica dotandola di una dimensione di ricerca che prende  anche la forma di  un parallelo lavoro sul territorio. 

La nostra indagine letteraria è partita dal riesame delle opere di Woolf, in particolare il romanzo Mrs. Dalloway (1925) e il saggio Street Haunting (1927), che sono state subito considerate centrali per l’analisi della flâneuse in letteratura.
La prima proposta di individuazione della figura e di coniazione del termine flâneuse si deve infatti  agli studi sociologici di taglio femminista degli anni ’80, e in particolare al saggio di Janet Wollf "The Invisible Flâneuse. Women and the Literature of Modernity” (1985).
Nell’ambito letterario, gli studi di Rachel Bowlby (1991) e Deborah Parsons (2000) hanno messo in luce come le opere di Woolf propongano figure di donne che si muovono liberamente per la città, ricavando stimoli dalla nuova realtà urbana, e contraddicendo gli stereotipi che vedevano la vita della donna come confinata, prioritariamente, allo spazio domestico. A partire da tale background, il nostro gruppo di ricerca, che copre le aree della Lingua e Letteratura inglese (Teresa Prudente, Federico Sabatini, Valentina Borla) e della letteratura italiana (Beatrice Manetti, Davide Dalmas), sta analizzando un corpus di testi letterari che appartengono ai due panorami linguistico culturali e fanno riferimento al periodo 1900-1940. Lo scopo è rintracciare quali modalità narrative e linguistiche danno forma  al rapporto fra le donne e la città. 

In un confronto costante fra i due ambiti, la ricerca si occupa, per il panorama anglosassone, di riesaminare i modelli socioculturali e gli snodi linguistici che riguardano il  rapporto donna/città e che Woolf nelle sue opere (saggi, romanzi, diario, testi autobiografici) individua come elementi che ostacolano la conquista, da parte delle donne, di spazi reali e metaforici di indipendenza.

L’opera di Woolf rappresenta infatti un momento di svolta in una duplice chiave: è una messa in discussione degli stereotipi di genere fino ad allora dominanti nella cultura anglosassone (il modello vittoriano della donna come “angel in the house”) e, come risulta evidente dalla costante rilettura e reinterpretazione della scrittrice da parte delle diverse ondate di femminismi, è anche prefiguratrice di una permanenza nel tempo degli stereotipi in quanto forma mentis consolidata.

L’analisi proposta da Woolf, nei suoi saggi, del fondamento e delle dinamiche della società patriarcale, così come il costante ribaltamento degli stereotipi di genere presente nelle sue opere di narrativa, offrono infatti una visione complessa e sfaccettata del rapporto fra le donne e la società. Dall’assenza delle donne dalla storia (e dalla storia della letteratura) tracciata in A Room of One’s Own (1929), alla ricerca femminile di spazi di indipendenza sociale e artistica in Mrs. Dalloway e To the Lighthouse (1927), alla proposta dell’idea di una mente “androgina” (nel saggio del 1929, così come in Orlando, 1928), lo scardinamento dei ruoli di genere e l’affermazione della donna sono posti da Woolf in termini che, evitando ogni semplificazione e schematismo, continuano a risuonare nelle modalità con cui il dibattito odierno sugli stessi temi prende forma. 

Nel panorama italiano della prima metà del ’900, un momento di ridefinizione radicale della presenza delle donne nello spazio urbano si colloca a ridosso della Prima guerra mondiale, una straordinaria occasione di emancipazione per le donne. La ricerca ne indaga le tracce in alcune scrittrici futuriste e in particolare in Rosa Rosà, che  nel romanzo Una donna con tre anime (1918) contrappone l’esperienza dello spazio urbano come luogo dell’avventura al confinamento nel microcosmo domestico e nella prosa paroliberista Moltitudine (1971) celebra «il cuore della città durante la notte», con i suoi «esotismi frizzanti che danno anche all’esistenza più casalinga l’illusione di partecipare a cose inaudite e lontanissime».


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 La lezione di Woolf, sul piano tanto “ideologico” quanto su quello formale, è più chiaramente percepibile in autrici moderniste come Gianna Manzini, Anna Banti e Fausta Cialente, che privilegiano lo schema narrativo della passeggiata per sperimentare le potenzialità di uno sguardo di donna sull’ambiente urbano, tra accensioni memoriali e sollecitazioni sensoriali.
Una diversa modalità rappresentativa è offerta, nell’area del realismo magico, da Anna Maria Ortese, il cui libro d’esordio Angelici dolori (1937) fonda l’immagine dell’immersione di un soggetto femminile in una Napoli caleidoscopica, onirica e sotterranea destinata a prolungarsi fino a Dadapolis (1989) di Fabrizia Ramondino e all’Amica geniale (2011-2014) di Elena Ferrante. Lungo una linea genealogica rivendicata con forza da Ferrante, la giovane protagonista senza nome dei racconti ortesiani, che vagabonda in cerca della notte «sulla città, fiume nero tra le rive luminose dei palazzi, fiorite di gente» e si lascia «trasportare tra quelle migliaia e migliaia di persone, da quelle opposte colorate correnti […] immemore ragionando col cuore», guida, nell’ultimo volume della tetralogia, i passi di Lila mentre si aggira per le strade di Napoli «facendo caso a ogni palazzo, a ogni chiesa, a ogni monumento, a ogni lapide».
Con Nessuno torna indietro di Alba de Céspedes (1938) e La strada che va in città (1942) di Natalia Ginzburg, infine, l’evasione delle protagoniste da un ambiente protettivo ma asfittico – rispettivamente il collegio e il piccolo paese di provincia – e l’esplorazione della città rappresentano momenti essenziali di una Bildung controversa ma ormai pienamente moderna.

Come dicevamo, la ricerca si muove in parallelo con le attività che conduciamo sul territorio: organizziamo incontri, proiezioni e laboratori in collaborazione con le associazioni per i diritti delle donne, come SeNonOraQuando? Torino, Telefono Rosa Piemonte, Toponomastica Femminile Piemonte, Zonta Club Torino.
I laboratori nelle scuole superiori di II grado ci permettono di discutere la situazione contemporanea a partire dall’analisi di un testo chiave, sorprendentemente ancora attuale, come A Room of One’s Own di Woolf. Il confronto con gli stereotipi di genere come delineati da Woolf ci permette di interrogarci, insieme a studenti e studentesse, su quanto essi ancora persistano, su come vengano veicolati dal linguaggio e influiscano sulla fruizione, da parte delle donne, dello spazio urbano, favorendo la formazione di pregiudizi, e dunque anche la pratica di forme di discriminazione e la limitata sicurezza.