Invisibili più che criminali: un nuovo report sui pazienti psichiatrici autori di reato
Le Rems sono strutture sanitarie nate a seguito della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari con l’intento di mettere in primo piano la cura, più che il controllo. Da un recente monitoraggio sulle persone qui ospitate, italiane e straniere, emerge, tra le altre cose, come fra queste ultime, più della metà abbiano passato un periodo in carcere prima che gli fosse riconosciuta la condizione di ridotta capacità di intendere e di volere. Da qui si deduce una tendenza diffusa alla criminalizzazione di persone troppo spesso socialmente “invisibili”.
Dopo il primo report del 2021 che abbiamo raccontato in Tra cura e controllo. Dati, diritti e pregiudizi sui pazienti psichiatrici autori di reato, è proseguito il nostro viaggio tra le Residenze per l’esecuzione delle misure sicurezza (Rems). A distanza di (quasi) dieci anni dall’introduzione della legge 81 del 2014 - per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari - ci siamo chieste e chiesti come stanno evolvendo le cose: quale è il livello di implementazione della riforma? Quante persone sono oggi in Rems? Come procedono le relazioni tra carcere, Rems e servizi territoriali? La dignità umana persiste come grimaldello per scardinare il vecchio sistema manicomiale?
A queste e ad altre domande abbiamo provato a dare una risposta attraverso il prezioso aiuto del Sistema informativo di Monitoraggio - SMOP, che raccoglie tutti i dati relativi al superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Abbiamo così prodotto un report (vedi in “Approfondimenti”) in cui vengono analizzati gli elementi salienti per fare un bilancio della riforma approfondendo alcuni nodi critici che riguardano, nello specifico, la questione delle liste d’attesa e delle permanenze, l’alto numero delle persone in misura di sicurezza provvisoria e le posizioni delle persone straniere. Uno degli elementi di novità riguarda proprio questo ultimo punto.
È emersa infatti una certa tendenza per gli utenti stranieri a entrare in Rems dopo aver fatto un passaggio all’interno dell’istituzione penitenziaria, anziché tramite un passaggio presso i servizi territoriali di salute mentale. In altre parole queste persone, tendono a ricevere, più degli italiani, un giudizio criminalizzante prima che venga valutata la loro effettiva capacità di intendere e di volere. Tra gli stranieri presenti, infatti, il 62% del totale proveniva dal carcere, il restante 38% invece da altre misure o dalle reti di superamento OPG (SSO) o da trasferimenti da altre Rems perché in dismissione. Questa percentuale è molto diversa da quella dei pazienti e delle pazienti autori di reato italiani: dei 452 presenti infatti provenivano dal carcere in 153 (34%), tutti i restanti da altre misure.
Abbiamo riscontrato analoghe differenze comparando i numeri della detenzione con i numeri delle misure alternative (come la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale), alle quali la popolazione straniera accede con molta più difficoltà rispetto agli italiani (qui il rapporto al 31 dicembre 2022 è infatti del 19% stranieri, 81% italiani) pur in presenza di una durata media delle pene e dei residui pena ben più esigua.
Perché questa tendenza? Tra le tante variabili in gioco - di un fenomeno di certo complesso - è emerso come elemento centrale una maggiore difficoltà, per la popolazione straniera coinvolta, ad accedere a quei percorsi di presa in carico che richiedono un significativo impiego di risorse in termini di progettualità e coinvolgimento di servizi territoriali.
Il paziente straniero a cui è applicata una misura di sicurezza detentiva può frequentemente trovarsi nella condizione di non avere una dimora fissa; questo perciò determina un ritardo nell’attribuzione della competenza territoriale, che viene individuata in base al luogo di commissione del reato e alla conseguente attribuzione all’Asl di quel territorio. A ciò si aggiunge che si tratta di soggetti sconosciuti dai servizi territoriali, che hanno la necessità di procedere a una valutazione iniziale e a individuare eventuali soluzioni assistenziali alternative alle stesse Rems anche in assenza di un contesto familiare e sociale che possa essere di supporto alla presa in carico.
La mancanza di riferimenti stabili sul territorio, di domicilio, di lavoro, di una posizione giuridica regolare, insieme alla mancanza di mediatori linguistici e culturali sono elementi che accomunano gran parte delle persone straniere che entrano nel sistema giudiziario. Questi elementi possono contribuire ad aumentare le diseguaglianze rispetto ai percorsi di presa in carico da parte dei servizi con il rischio che il carcere e le Rems diventino, più spesso per questi “invisibili” che per gli italiani, il naturale approdo.
Questi e altri filoni di indagine sono trattati all'interno di questo report che tenta di colmare un vuoto di conoscenza rispetto alle misure di sicurezza e alla gestione dei pazienti autori di reato considerati socialmente pericolosi.
Il gruppo di lavoro: Giovanni Torrente (responsabile scientifico) e composto da Perla Arianna Allegri, Michele Miravalle e Daniela Ronco.
Autrici e autori del report: Perla Arianna Allegri, Agostina Belli e Giuseppe Nese.