Come la guerra cambia il clima
Questo racconto riguarda un tema trasversale alla mia ricerca, ma purtroppo non all’attualità, di cui mi è stato chiesto di parlare in qualche occasione nell’ultimo anno, ovvero la relazione tra clima e guerra. Ne ho parlato, e lo farò anche qui, dal punto di vista della climatologa, facendomi guidare da tre domande che hanno l’intento, soprattutto, di fornire spunti di riflessione. La guerra cambia il clima? Il clima cambia la guerra? Cosa hanno in comune le guerre e i cambiamenti climatici?
La guerra cambia il clima in due modi. Il primo, attraverso le emissioni climalteranti che il settore militare produce, sia in tempo di pace che di guerra. Le stime a disposizione indicano che tali emissioni ammontano al 5% circa di quelle globali e derivano principalmente dallo spostamento di militari, mezzi di trasporto, armi ed equipaggiamenti; dal sostentamento delle basi; dalle esplosioni e armi incendiarie (che spesso distruggono enormi aree di vegetazione); dalla pratica del gas flaring (combustione di gas); dai costi ambientali delle missioni umanitarie. Contrariamente a quanto accade per le emissioni derivanti dagli altri settori legati alle attività umane (come la produzione di energia da fonti fossili, l’industria, i trasporti, l’agricoltura e l’allevamento, l’edilizia, ecc.), fin dall’accordo di Kyoto del 1997 il settore militare è stato escluso dai trattati internazionali sul clima per quanto riguarda l’obbligo di ciascun paese di comunicare le proprie emissioni, passo chiave per definire anche le politiche di riduzione delle stesse.
Il secondo modo in cui la guerra cambia il clima è per l’impatto che può avere sulle politiche di conversione energetica - in particolare rallentandole - sia a livello nazionale che globale. Il conflitto russo-ucraino ci fornisce un chiaro esempio di come, per alcuni paesi come anche l’Italia, la necessità di affrancarsi dalla dipendenza di una fonte fossile (gas russo) possa attivare soluzioni di emergenza che prevedono la sostituzione con altre fonti, ma sempre fossili, col rischio che tali approcci emergenziali poi si consolidino nel tempo. Ma esiste anche l’altra possibilità, ovviamente, ovvero che il conflitto stimoli l’accelerazione della transizione verso energie pulite e rinnovabili.
Per quanto riguarda la relazione inversa, come il clima cambia la guerra, esistono diversi studi che evidenziano come in alcune aree del mondo particolarmente soggette a siccità e vulnerabili alla desertificazione (ad esempio la fascia sub-Sahariana) si registrino concentrazioni elevate di attacchi terroristici, rivolte alimentari e altri conflitti. Come ribadito anche nel rapporto IPCC su Impatti, Adattamento e Vulnerabilità del 2022, ciò non significa che il cambiamento climatico sia la causa diretta dell’insorgenza di conflitti, ma è fuori dubbio che possa essere un moltiplicatore di minacce che possono portare a conflitti, esacerbando instabilità e insicurezza geopolitica, alimentare e idrica, destabilizzando regioni, generando migranti.
La guerra civile in Siria del 2011, ad esempio, è stata studiata anche sotto questa lente, un chiaro esempio di come situazioni politiche difficili e instabili si possano combinare con gli stress del cambiamento climatico (in quel caso la siccità che ha devastato il paese tra il 2007 e il 2010) portando alla devastazione. Altro esempio sono i conflitti in alcune regioni dell’Africa centrale tra i pastori transumanti e gli agricoltori, che si ritrovano a competere per le scarse risorse quando la siccità arriva nelle zone dedite alla pastorizia durante la stagione delle piogge costringendo i pastori a migrare in anticipo nelle zone più a sud ancora occupate dagli agricoltori e dai loro raccolti.
E infine, cosa hanno in comune le guerre e i cambiamenti climatici? La risposta in parte è già data, e la troviamo nelle parole di Svitlana Krakovska, scienziata Ucraina dell’IPCC, intervistata all’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: “il denaro che finanzia questa aggressione proviene dai combustibili fossili, esattamente come il cambiamento climatico. Se non dipendessimo da questi ultimi, la Russia non potrebbe finanziare il conflitto”. Una frase che non richiede molti commenti, se non uno che di nuovo prendo in prestito da una frase che non so esattamente a chi attribuire ma che ho sentito pronunciare dalle ragazze e dai ragazzi del movimento dei Fridays for Future: “la guerra è fossile, la pace è rinnovabile”.
Bibliografia
IPCC, 2022: Climate Change 2022: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Contribution of Working Group II to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [H.-O. Pörtner, D.C. Roberts, M. Tignor, E.S. Poloczanska, K. Mintenbeck, A. Alegría, M. Craig, S. Langsdorf, S. Löschke, V. Möller, A. Okem, B. Rama (eds.)]. Cambridge University Press. Cambridge University Press, Cambridge, UK and New York, NY, USA, 3056 pp., doi:10.1017/9781009325844.
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Willcox, G., Buxo, R., & Herveux, L. (2009). Late Pleistocene and early Holocene climate and the beginnings of cultivation in northern Syria. The Holocene, 19(1), 151-158. https://doi.org/10.1177/0959683608098961.