Genetica forense in Etiopia: luci e ombre di un’esperienza personale
L’identificazione genetica delle vittime della migrazione nel Canale di Sicilia richiede dati sulla variabilità del DNA nelle loro aree geografiche di provenienza. Qui vi racconto uno studio a cavallo tra genetica forense e genetica di popolazione condotto in Etiopia, assieme a giovani ricercatori africani e con le dotazioni strumentali disponibili in loco, e della sua brusca, drammatica interruzione.
Conosciamo tutti “CSI: scena del crimine”, la serie televisiva che racconta le indagini della polizia scientifica di Las Vegas. Eppure, c’è una parte del mondo dove i detective fanno ancora affidamento solo su intuito e capacità deduttiva. In base a un rapporto del 2019 dell’Interpol, in pochissime nazioni dell’Africa sub-Sahariana l’analisi del DNA è impiegata in indagini criminalistiche e solo Sudafrica e Botswana ne fanno un uso sistematico. Ma l’interesse è grande, come provo a testimoniare in questo racconto di ricerca.
A partire dal 2016, grazie a Shosholoza Onlus e a due successivi mobility grant assegnati da Fondazione CRT (progetto WWS2) e International Society for Forensic Genetics, ho avuto modo di recarmi in Etiopia per un progetto a cavallo tra genetica forense e delle popolazioni. Lo studio si è svolto presso l’Università di Mekelle, capitale della regione del Tigray. Il Tigray è anche il maggiore gruppo etnico della confinante Eritrea, che da tempo è una delle principali aree di provenienza dei e delle migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraverso il Canale di Sicilia, finendo spesso vittime di naufragi mortali.
L’assenza di documenti e lo stato dei cadaveri, non più riconoscibili per la prolungata permanenza in acqua, rende il test del DNA uno dei principali strumenti a disposizione per l’identificazione e la restituzione dei corpi ai familiari (leggi anche “Identità e diritti umani dei corpi senza nome. L’importanza delle informazioni dentali”, NdR). Per la corretta interpretazione dei risultati, tuttavia, è necessario conoscere la frequenza delle diverse varianti dei geni del DNA (alleli) nell’area geografica di provenienza del campione esaminato.
In alternativa, è possibile applicare ai calcoli una correzione per l’incertezza detta “indice di fissazione” o “FST”. Il valore di FST tiene conto del fatto che le frequenze alleliche medie, talora disponibili per un’ampia area geografica, come l’intera Africa sub-Sahariana o il Corno d’Africa, potrebbero non riflettere accuratamente quelle di singole popolazioni presenti all’interno dell’area stessa. L’applicazione di valori di FST troppo bassi rischia di sovrastimare il valore probatorio del test genetico (false identificazioni); un FST troppo alto può portare invece al risultato opposto (campioni che non possono essere identificati con certezza statistica, nonostante la coincidenza del DNA), specie quando il DNA è molto danneggiato e pochi tratti possono essere studiati con successo. Dati di variabilità allelica e stime accurate di FST per popolazioni del Corno d’Africa erano tuttavia molto scarsi all’inizio del nostro studio.
Analizzare la variabilità genetica in Tigray ha posto diverse sfide. Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha riservato crescente attenzione agli studi di popolazione africana (leggi anche "Un arcobaleno antichissimo ancora da studiare: la ricerca genomica in Africa", NdR), definendo criteri affinché essi si svolgano nel rispetto delle popolazioni interessate e con il coinvolgimento di ricercatori locali, senza assumere un carattere “predatorio”. L’approvazione del progetto da parte del comitato etico dell’Università di Mekelle è stata facilitata dalla decisione di arruolare nello studio gli studenti di corsi di laurea biomedici, che usano correntemente l’inglese e da cui era possibile ottenere un consenso informato e consapevole.
Per poter realizzare gli esperimenti in loco è stata intrecciata una rete di collaborazioni, che ha coinvolto anche l’Istituto di Sanità Pubblica di Addis Abeba, dotato di una piattaforma per sequenziamento del DNA, assente a Mekelle. Ho così potuto personalmente sperimentare l’entusiasmo dei giovani ricercatori locali nell’apprendere nuove metodologie di genetica forense e l’interesse verso una futura implementazione pratica, ma ho conosciuto anche la loro frustrazione, legata soprattutto alle difficoltà di approvvigionamento, manutenzione e assistenza tecnica continuativa sugli strumenti.
Il progetto ha fruttato ad oggi due studi pubblicati sulla principale rivista internazionale di genetica forense (Forensic Science International: Genetics). Il primo, del 2019, ha riguardato varianti del DNA per la determinazione dell’origine biogeografica ed ha dimostrato che, anche con un pannello limitato di marcatori, è possibile distinguere chiaramente le popolazioni del Corno d’Africa da quelle sub-Sahariane. Alcuni di questi marcatori sono stati recentemente applicati per favorire l’identificazione dei resti scheletrici provenienti dal naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia del 2015, promossa dal Commissario straordinario del Governo per le Persone Scomparse e coordinata dalla prof.ssa Cristina Cattaneo (Università di Milano).
Nel secondo studio (2021) è stata esaminata la variabilità nella popolazione Tigray di tutti i principali tratti del DNA usati per identificazione individuale, sia dei cromosomi non sessuali che X e Y. È stato così possibile stimare la frequenza dei loro alleli e un adeguato valore di FST da applicare in casi che coinvolgono soggetti provenienti dal Corno d’Africa. Lo studio ha anche rilevato una sostanziale omogeneità genetica dei cromosomi X e Y in Tigray e nel resto di Etiopia/Eritrea.
È triste e paradossale citare quest’ultimo risultato quando a partire dal 2019, in Etiopia è in atto un conflitto su base etnica tra Tigray e il governo centrale di Addis Abeba. Ne è derivata una situazione sempre più instabile, che ha di fatto impedito ulteriori sviluppi in loco del progetto ed è sfociata nell’invasione della regione da parte dell’esercito federale. Alcuni dei ricercatori con cui ho collaborato hanno fortunatamente trovato rifugio all’estero. Da chi è rimasto a Mekelle ricevo di tanto in tanto notizie frammentarie. Allora ritorno con la mente ai giorni passati insieme, a certi usi etiopi per noi bizzarri: salutarsi sfregando le spalle; calcolare l’inizio del giorno dalle sei del mattino, anziché da mezzanotte… E penso ingenuamente a come sarebbe bello se la diversità umana fosse solo fonte di curiosità scientifica.