Capire una zoonosi poco studiata grazie ai satelliti. Il caso delle volpi in Piemonte
Alcuni studi sulla fauna aiutano a comprendere meglio l'evoluzione di diverse malattie infettive. Tra queste, la bartonellosi merita un certo riguardo, trattandosi di una zoonosi e pertanto oggetto di interesse per la tutela della salute pubblica. E quando gli strumenti veterinari non bastano, ci si rivolge al cielo. O meglio ai satelliti, che si muovono silenziosi a migliaia di chilometri sopra le nostre teste.
"Se non ti piacciono i batteri, sei sul pianeta sbagliato". Mai come oggi questa frase del celebre scrittore Stewart Brand sembra essere più attuale, in un mondo sempre più alle prese con pandemie e malattie emergenti di varia natura eziologica. E in questo marasma generale si muovono gli scienziati e le scienziate di tutto il mondo per ricercare i meccanismi alla base dell'insorgenza delle singole malattie e dei fattori che possono influenzare la loro diffusione. Non sempre purtroppo tutte le loro domande trovano una risposta, ma il semplice provarci è già un passo avanti.
Certo, gli agenti infettivi sono degli avversari mica da ridere: per milioni di anni si sono evoluti e hanno plasmato le loro vite in funzione dell’ambiente che li circonda, mettendo a punto caratteristiche biologiche che potessero garantire loro la massima sopravvivenza, anche in condizioni estreme. Fin dagli albori della sua comparsa sulla Terra, l'essere umano si è dovuto confrontare con questi microrganismi, causa delle terribili piaghe che hanno sconvolto la storia dell'umanità nel corso dei secoli. Eppure, siamo sopravvissuti. Ci siamo evoluti, anche noi.
Non bisogna poi dimenticare che molti dei patogeni ad oggi conosciuti sono agenti di zoonosi, ovvero di malattie trasmissibili dagli animali all’essere umano. Alcune di queste patologie sono più conosciute e oggetto di interesse mediatico (basta pensare all’influenza suina oppure alla brucellosi, alla rabbia, ecc). Altre, invece, non godono della stessa attenzione. Una di queste è la bartonellosi, malattia infettiva causata da batteri appartenenti alla famiglia delle Bartonellaceae. Come dimostrato da diversi studi negli ultimi anni, la bartonellosi non colpisce solo l’essere umano (per il quale rappresenta una zoonosi minore) e gli animali domestici, ma anche quelli selvatici.
Qui entra in gioco il mio progetto di tesi per la scuola di specializzazione in “Sanità animale, igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche”. Sto lavorando, infatti, per rintracciare la presenza di questo batterio nelle popolazioni di volpi in Piemonte e Valle d’Aosta a partire da campioni di milza prelevati da un numero significativo di soggetti.
La bartonellosi può colpire differenti specie di animali selvatici, tra cui i roditori, ma anche i carnivori quali il lupo o la volpe, o ancora è stata segnalata nei ricci, nei tassi e in alcuni ungulati selvatici, come ad esempio il capriolo. La malattia viene veicolata grazie alla presenza di specie “reservoir” ovvero serbatoio della malattia, ma anche per mezzo di ectoparassiti (pulci, zecche). Quale sia l’impatto della bartonellosi nelle popolazioni di volpi è al giorno d’oggi ancora oggetto di studio: infatti gli animali esaminati sono per lo più oggetto di piani di contenimento o incidentati, pertanto è difficile comprendere quale sia stato l’esatto decorso clinico della malattia. Trattandosi comunque di un batterio e osservando quanto accade nella specie ospite domestica, ovvero il cane, si può supporre che i soggetti colpiti vadano incontro ad una sintomatologia clinica piuttosto aspecifica, con sviluppo di sintomi quali febbre, linfoadenopatia generalizzata, e conseguente dimagrimento. Le volpi che sopravvivono all’infezione risulteranno resistenti alla malattia e potranno a loro volta trasformarsi in serbatoi dell’infezione.
Un aspetto innovativo di questa ricerca sarà quello di creare “mappe” sulla prevalenza della bartonellosi nella fauna attraverso l’uso di dati telerilevati da satellite. Grazie alla georeferenziazione dei campioni e all’impiego di un sistema informativo geografico sarà infatti possibile creare modelli predittivi della malattia, potenzialmente applicabili anche ad altre patologie.
Tutto ciò sarà possibile grazie alla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Veterinarie e il Laboratorio di Geomatica e Telerilevamento Agro-Forestale (GEO4Agri Lab) presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari. Infatti, mai come ora è indispensabile adottare un approccio interdisciplinare per una migliore comprensione dei fenomeni sanitari e ambientali che ci circondano.