Suoli inquinati? La soluzione ecologica passa attraverso piante e funghi
Le piante sono in grado di sopravvivere anche in terreni contaminati da altre concentrazioni di metalli tossici. Come fanno? E come sfruttare questa capacità per recuperare suoli inquinati? Se poi l’inquinante è costituito da idrocarburi sono invece i microorganismi del suolo, e in particolare i funghi, a fornirci un valido aiuto.
Il progetto Re-Horti ha avuto come focus i suoli del tessuto urbano di Torino: abbiamo così esplorato, mediante un approccio multidisciplinare, diverse strategie efficienti ed ecologiche per il loro biorisanamento.
Le piante hanno evoluto efficaci meccanismi per solubilizzare e assorbire micronutrienti presenti nel suolo attraverso le radici, ma cosa succede quando crescono in ambienti ostili come un suolo contaminato da metalli pesanti?
Alcuni di questi metalli, come ferro, rame e zinco, sono presenti naturalmente nel suolo e sono essenziali, a basse concentrazioni, per mantenere i processi metabolici nell'essere umano. Altri invece, come piombo, cromo e mercurio, sono direttamente correlati alle attività antropiche e sono altamente tossici anche a concentrazioni relativamente basse.
Quali strategie mettono in campo le piante per sopravvivere in suoli ricchi di metalli?
Essenzialmente tre: l’esclusione, per cui la concentrazione degli elementi tossici nella pianta è mantenuta sotto un valore soglia di tossicità per la pianta stessa; la tolleranza, per cui la pianta riesce a sopravvivere adattando i processi biochimici alle elevate concentrazioni di questi elementi; l’iperaccumulazione, per cui mediante un meccanismo di ipertolleranza, gli elementi sono attivamente accumulati in alcuni tessuti della pianta indipendentemente dalle concentrazioni nel suolo.
È possibile sfruttare a nostro vantaggio questo naturale processo di cattura e immagazzinamento dei metalli tossici per recuperare suoli inquinati?
Ebbene sì, proprio questa capacità iperaccumulatrice adottata da alcune piante è alla base delle tecniche di fitorimedio, che utilizzano cioè le piante per ridurre la concentrazione di inquinanti in suoli o substrati contaminati da metalli. Alcune piante possono immagazzinare concentrazioni di contaminanti inorganici fino a 100-1000 volte superiori rispetto a quelli presenti nel suolo senza esserne danneggiate. Esse sono in grado di crescere su terreni di bassa qualità, raggiungere un'alta biomassa e trasportare i contaminanti dalle radici ai germogli, così la parte epigea della pianta (quella che sta fuori dal terreno) può essere successivamente raccolta, trattata e smaltita correttamente.
Ma i suoli possono essere esposti anche a contaminanti organici, come ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) provenienti da carbone e petrolio. In questo caso ci vengono in aiuto i microorganismi presenti nel suolo, in particolar modo i funghi, già usati per la bonifica del suolo nell'ambito del progetto Life Biorest. Grazie al loro metabolismo i funghi riescono a sfruttare molecole molto complesse e recalcitranti come la lignina e sono perciò avvantaggiati nell'usare molecole simili, come gli IPA.
La bioaugmentation è una tecnica di bonifica a basso impatto ambientale basata sulla immissione di funghi, precedentemente selezionati in laboratorio per la loro capacità di metabolizzare e degradare i diversi composti organici inquinanti. La selezione e l'uso di ceppi fungini autoctoni, già adattati agli specifici inquinanti presenti nel suolo, sono spesso la chiave del biorisanamento e della biodegradazione delle sostanze inquinanti. In aggiunta, l’utilizzo di consorzi fungini è di fondamentale importanza: l’effetto combinato di diversi microorganismi nella loro capacità di degradazione è più efficiente rispetto all'azione di un singolo organismo.
In quest’ottica, il progetto Re-Horti, Strategies to reuse urban areas for horticulture, finanziato dalla Compagnia San Paolo, ha l’intento di studiare la presenza e la biodisponibilità delle specie metalliche e di alcuni contaminanti organici in suoli situati all'interno del tessuto urbano di Torino e di esplorare, con un approccio multidisciplinare, diverse strategie efficienti ed ecologiche per il biorisanamento di terreni moderatamente inquinati.
A tale scopo abbiamo coltivato e saggiato diversi tipi di piante iperaccumulatrici come la senape indiana (Brassica juncea), il girasole (Helianthus annuus), il mais (Zea mays) e la felce (Pteris vittata) ma anche la lattuga, il cavolo, i piselli e le patate. Prima le abbiamo fatte crescere in condizioni climatiche controllate e in vasi contenenti il suolo del sito inquinato prescelto, successivamente nel sito inquinato. Abbiamo così valutato l’effetto sulla crescita e sulle capacità di accumulo dei metalli in presenza dell’ammendante Florawiva prodotto a partire dagli sfalci di potatura e fornito dall’azienda Acea di Pinerolo.
Per quanto riguarda gli inquinanti organici, abbiamo isolato numerosi ceppi fungini provenienti dal sito inquinato e li abbiamo saggiati sia per le loro capacità degradative nei confronti degli inquinanti che superavano la soglia dei limiti di legge, sia per la capacità di produrre biosurfattanti, composti con proprietà tensioattive in grado di rendere maggiormente biodisponibili gli inquinanti. Successivamente, grazie a substrati lignocellulosici usati come vettori per reintrodurre i microrganismi nel suolo, abbiamo selezionato sei ceppi fungini più promettenti e li abbiamo impiegati per creare un consorzio volto a saggiare la degradazione degli inquinanti in situ trattando 500 chilogrammi di suolo inquinato e valutando anche l’effetto dell’ammendante Florawiva.
Il consorzio fungino ha portato a un consistente abbattimento (rimozione del 30-50%) del contenuto di idrocarburi con 2-4 anelli aromatici già dopo i primi tre mesi di trattamento. Abbiamo inoltre verificato che l’uso dell’ammendante migliora ulteriormente i risultati contribuendo a riattivare i servizi ecologici del suolo.
I risultati di questo progetto, che si concluderà nell'autunno 2020, sono stati dunque soddisfacenti. I prossimi passi vedranno la messa a punto di un ammendante ad hoc arricchito con ceppi fungini a basso costo da proporre come trattamento abituale per mantenere nei suoli una microflora sempre attiva nella degradazione degli inquinanti e di garantire adeguati servizi ecosistemici per la coltivazione delle piante.
Gruppo di lavoro: Paola Calza, Debora Fabbri, Matteo Florio Furno, Federica Spina, Mery Malandrina, Elisa Gaggero, Anna Fusconi e Cristina Varese