
Nadie es migrante en su propio mundo. Intervista a Paula Ospina di Las politicas migrantes
Las politicas migrantes è un collettivo di donne latino-americane con base a Torino che hanno deciso di unirsi per portare avanti le proprie istanze e quelle delle persone migranti che ancora vedono negarsi i propri diritti fondamentali. Di recente, dopo quella che è passata alla cronaca come “la fila della vergogna” davanti all’Ufficio Immigrazione, si sono fatte promotrici del Comitato cittadino per le voci migranti. Ci siamo fatte raccontare la storia da una delle fondatrici, Paula Ospina.

Paula Ospina è una giovane donna colombiana che vive in Italia da sette anni. A Bogotà studiava giornalismo e faceva la sindacalista, qui a Torino lotta per costruire spazi di parola e azione per le persone provenienti dal Sud del mondo i cui diritti vengono calpestati ogni giorno.
Paula, che cos’è e chi c’è dietro Las politicas migrantes?
Las politicas migrantes è un collettivo di donne. Siamo tutte donne latino-americane migrate qui in Italia, c'è solo una cittadina italiana, che è di Avellino.
Ci siamo unite perché ci siamo riconosciute nella necessità di costruire uno spazio in cui dare la giusta rappresentanza alle istanze delle donne migranti e in generale alle persone del sud del mondo.
All’inizio, un anno fa, eravamo tantissime, poi naturalmente il nucleo più operativo si è ristretto, anche perché è un lavoro che richiede molto impegno, fisico e mentale, e che facciamo in maniera volontaria. Il nostro principale obiettivo è parlare di migrazione in modo responsabile. In Italia c’è un razzismo strutturale che pervade anche la comunicazione sui media: parlare di migrazioni solo con le statistiche o parlare di “carovane” e di “barconi” senza dare conto delle storie delle persone, non è etico. Vogliamo quindi parlare per noi e insegnare a parlare di noi.
Inoltre ci siamo rese conto che c’è una grande lacuna di informazioni rispetto a quello che succede in America Latina e vorremmo colmare questo vuoto: ad esempio, ci sono aziende italiane che in Amazzonia stanno distruggendo la biodiversità, violando i diritti dei popoli indigeni, ma qui non se ne parla mai. Ecco, ci piacerebbe coinvolgere persone migranti di Paesi latinoamericani che possano informare sulle crisi sociali e ambientali che stanno attraversando nel nostro continente.
Di recente, come Las politicas migrantes avete promosso l’istituzione del Comitato cittadino per le voci migranti. Ci racconti com’è nato e con quali obiettivi?
Era gennaio di quest’anno e, come sempre, eravamo in coda fuori dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, in corso Verona, per rinnovare il permesso di soggiorno. Vengono predisposte pochissime risorse rispetto al numero di richieste e il risultato è che per avere speranza di un appuntamento bisogna mettersi in fila la domenica per ritirare il numero del proprio turno il martedì. In quei giorni a Torino pioveva ininterrottamente ed è stata un’esperienza umiliante e traumatica dover accamparsi per diverse notti in strada. Siamo tutte persone che studiano o lavorano, la stragrande maggioranza sono rider che non hanno alcuna tutela: ci siamo detti - ognuno nella sua lingua - che quella situazione non era giusta e che dovevamo fare qualcosa. Il Comitato è nato così, la prima riunione, si può dire, l’abbiamo fatta lì fuori dalla questura. Poi, come Las politicas migrantes, ci siamo attivate per trovare uno spazio dove riunirci e per promuovere l’iniziativa. C’è stata una grandissima partecipazione, abbiamo invitato anche cittadini e cittadine italiane, ma solo le persone migranti potevano prendere parola e nella lingua che volevano.
È stata un’esperienza potente perché ognuno ha potuto urlare la propria rabbia e frustrazione per le ingiustizie subite da anni e la soddisfazione più grande per me è che queste persone abbiano capito che si può fare politica anche se non hai i documenti giusti: anche se non hai diritto al voto, hai diritto a farti sentire.
L’obiettivo concreto del Comitato è infatti arrivare nei luoghi decisionali, al Consiglio comunale, per portare le nostre necessità e rivendicare i nostri diritti: il diritto a una casa, a un lavoro dignitoso, alla salute, ai mezzi di trasporto pubblico. Non è facile, perché viviamo tutte - chi più chi meno - in condizioni precarie e quando devi trovare il modo per sopravvivere, la partecipazione politica sembra l’ultima delle preoccupazioni. Ma non vogliamo più subire e il Comitato sarà il nostro strumento di lotta.

Intanto il Comune si è attivato per risolvere le code interminabili davanti alla questura…
Beh diciamo che le cose adesso stanno pure peggio! La Questura di Torino ha presentato come soluzione alla fila della vergogna la piattaforma Prenota Facile, a cui però non tutti possono accedere. Il permesso di soggiorno ha tante forme diverse: a seconda anche degli step nella procedura, puoi avere un permesso di soggiorno (attestato nominativo) o un permesso di soggiorno “giallo” e solo se hai quello giallo puoi accedere a quella piattaforma, ma tutte le persone che hanno l'attestato nominativo, no, quindi adesso sono proprio bloccate.
Prima, facendo la fila per tre giorni, potevano almeno ottenere un appuntamento per il rinnovo del suo permesso, ora neanche questo.
Sembra tutto molto faticoso, soprattutto per te che sei diventata un po’ il punto di riferimento e portavoce. C’è stato un episodio in particolare che ti ha fatto sentire ripagata di tutti gli sforzi?
Tra i tanti che potrei raccontarvi, mi viene in mente un ricordo proprio di quei giorni in coda davanti alla questura. Angelica, una ragazza peruviana, era lì a fare la fila insieme al suo bimbo di 3 anni, Tyler. Pioveva fortissimo e tutti quanti si sono preoccupati per loro due: la regola, che ci siamo autoimposti, è che se lasci il tuo posto nella fila poi lo perdi, però quel caso meritava di essere un’eccezione. Allora lo abbiamo messo ai voti e abbiamo deciso che avremmo “protetto” noi il posto di Angelica, mentre lei poteva tornare a casa con suo figlio e dormire all’asciutto. Il mattino dopo, anzi erano le 4 di notte, è tornata con la colazione per tutti. Quei giorni sono stati davvero dolorosi, ma in mezzo alla rabbia, alla tristezza, alla fatica c’era anche tutta questa cura tra le persone migranti.

Tra le diverse istituzioni a cui vi rivolgete, anche l’Università e il mondo della ricerca in genere è per voi un interlocutore e che tipo di connessioni ci sono (o vedi in futuro)?
Finora non abbiamo mai cercato un contatto con l’Università, ma devo dire che sembra molto difficile entrare in dialogo con l’Accademia. Spesso sembra staccata dalla società, però noi come Comitato vogliamo parlare con tutte le istituzioni del territorio e penso che anche l’Università ha tante competenze che potrebbe mettere a disposizione della nostra causa.
Infine non possiamo non chiederti del prossimo referendum per la cittadinanza: l’8 e il 9 giugno 2025, le cittadine e i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, tra cui uno proprio per modificare le norme per ottenere la cittadinanza. Il referendum propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia necessario per richiedere la cittadinanza italiana, estendendo automaticamente questo diritto anche ai figli minorenni dei richiedenti. Che cosa ne pensi? Come vi state preparando?
Sì, andate a votare, per favore, è molto importante! Come Las politicas migrantes faremo una campagna di comunicazione un po’ diversa da quella del comitato promotore del referendum. Loro pensano sia più efficace puntare sullo ius soli, cioè sul diritto alla cittadinanza per ragazze e ragazzi nati in Italia, ed è giustissimo, certo, però esistiamo anche noi, persone che vivono e lavorano qui e producono l’8.8% del PIL italiano. Il nostro slogan sarà “il paese è di chi lo lavora”.