Materiali spaziali: le nuove tecnologie che cambiano l’esplorazione dell’universo
Fin dalle prime missioni l’esplorazione spaziale ha fatto uso di tecnologie per le quali erano necessari dei materiali innovativi. Dalla produzione, conversione e stoccaggio di energia, a materiali in grado di bloccare o facilitare il passaggio di sostanze e radiazioni, dalla gestione del calore all’interazione con i materiali presenti nello spazio. Lo sviluppo di queste tecnologie ha sempre avuto bisogno di attività di ricerca, che vedono coinvolta l’Università degli Studi di Torino e in particolare il Dipartimento di Chimica.

Da sempre, l’esplorazione spaziale è uno stimolo per lo sviluppo di tecnologie e materiali innovativi. Se nelle applicazioni strutturali prevalgono le competenze ingegneristiche, nel caso di tecnologie con funzionalità specifiche è necessario un approccio multidisciplinare in cui la chimica e la scienza dei materiali giocano un ruolo chiave.
Con le missioni spaziali di lunga durata ormai all’orizzonte, è cruciale capire come impiegare le risorse disponibili negli habitat extraterrestri per produrre energia direttamente nello spazio.
Il gruppo di ricerca MOF (Materiali Organici Funzionali), guidato dalla prof.ssa Barolo e dal dottor Galliano, partecipa a questa sfida con i progetti di ricerca JUMPINTOSPACE, finanziato dall’UE, ed EN4SPACE, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Università di Roma “Tor Vergata”.
Il loro obiettivo è sviluppare materiali che rendano i dispositivi per la produzione, la conversione e lo stoccaggio di energia leggeri, flessibili e sostenibili: celle solari, generatori termoelettrici per la conversione di calore in elettricità e batterie agli ioni litio.
Un’altra grande sfida nelle missioni spaziali è controllare la temperatura perché, nello spazio, senza atmosfera, il calore non si disperde facilmente come sulla Terra. Per questo motivo i flussi termici, cioè il trasferimento di calore da zone più calde a zone più fredde, devono essere gestiti con soluzioni efficienti e a basso consumo energetico.
Ad esempio, materiali metallici porosi, come quelli sviluppati dal gruppo MET (Materiali metallici, sotto la supervisione della prof.ssa Rizzi), permettono il movimento dei fluidi per capillarità, cioè risalendo spontaneamente spazi molto stretti grazie alla loro forza di adesione alle superfici.
Questa tecnologia è fondamentale per evitare il surriscaldamento dei componenti elettronici e strutturali, mantenere condizioni ambientali stabili negli habitat spaziali e migliorare la sicurezza delle missioni di lunga durata.

Un altro aspetto fondamentale è la disponibilità di carburante nello spazio. In questo caso il problema principale è che trasportare propellenti nello spazio è complicato e costoso. Il progetto europeo Green SWaP, guidato dal prof. Naldoni, propone un’alternativa: utilizzare fotocatalizzatori nanostrutturati (ossia molecole minuscole che sfruttano l’energia solare) per trasformare l’acqua in idrogeno e perossido di idrogeno, che possono essere usati come carburanti.
L’acqua è più facile da trasportare e gestire nello spazio rispetto ai propellenti tradizionali, quindi questa tecnologia potrebbe rendere più efficienti le missioni spaziali.
Nei vettori aerospaziali, anche la leggerezza e la sicurezza dei componenti sono una priorità. L’alleggerimento è utile soprattutto per ridurre il peso dei componenti elettronici flessibili - quindi adattabili a superfici curve e meno soggetti a rotture - utilizzati in sensori e dispositivi intelligenti, che si basano su materiali in grado di trasportare segnali elettrici a bassa potenza senza l’utilizzo di metalli.
Per garantire la sicurezza, si utilizzano materiali con le cosiddette “proprietà barriera”. Per esempio, eventuali incendi possono essere circoscritti mediante l’impiego di materiali ignifughi in grado di espandersi creando una barriera protettiva. L’esposizione a raggi cosmici, protoni solari e raggi X invece rappresenta un rischio perché può degradare i materiali, interferire con i circuiti elettronici e danneggiare le cellule umane.
Possiamo ottenere una schermatura dalle radiazioni grazie a materiali polimerici arricchiti con fibre di carbonio, carbon black (una polvere finissima a base di carbonio) e grafite, oppure da materiali costituiti da composti inorganici leggeri, come lo idruro di litio, incorporati in un materiale che garantisce la flessibilità necessaria a schermare superfici non planari.
Di tutti questi materiali innovativi si occupano i gruppi MP (Materiali polimerici, prof. Cesano) e MET (prof. Baricco), nell’ambito dei progetti STEPS, STEPS2 e GF4C, finanziati dalla Regione Piemonte, e il progetto ROSSINI dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Un altro progetto finanziato dall’ESA riguarda invece la regolite, una polvere sottilissima che ricopre la superficie lunare.
Se le radiazioni spaziali sono ben comprese e si dispone di tecnologie per proteggersi, la polvere lunare resta un problema ancora poco studiato. Per questo, nell’ambito del progetto T3CD, il prof. Turci studia la reattività chimica di queste polveri e il loro impatto sulla salute umana.
Lo sviluppo di tecnologie e materiali innovativi per le missioni spaziali richiede infine anche il coinvolgimento di aziende specializzate, che riescano a coniugare la flessibilità di un approccio mirato con le esigenze di produzione industriale. Un esempio di questo approccio è rappresentato dall’ecosistema dell’innovazione NODES, grazie al quale tecnologie e materiali innovativi diventano d’interesse per settori più ampi. In questa maniera, la sfida si sposta verso l’industrializzazione su larga scala in cui diventa essenziale, oltre che tecnologica, la competitività economica.