Storie di ricerca

Alla ricerca dei messaggeri cosmici che ci rivelano la materia oscura

Questo contenuto fa parte del tema del mese: Spazio

Viviamo su un piccolo pianeta, uno tra i tanti, che ruota attorno a una tra le centinaia di miliardi di stelle di una galassia, la Via Lattea, tra migliaia di miliardi di altre galassie di un Universo sconfinato. E come se non bastasse, non siamo nemmeno fatti della stessa materia di cui è composta la maggior parte dell'Universo! Questa è la storia della materia oscura, una storia che nasce circa un secolo fa e non ha ancora una spiegazione, ma mobilita una rete di ricerca mondiale.

Sono passati quasi 100 anni da quando l’astronomo svizzero Fritz Zwicky coniò il termine materia oscura.  Zwicky, a inizio degli anni ‘30 del secolo scorso, lavorava al telescopio di Mount Wilson in California e scoprì che le galassie del cosiddetto Ammasso della Chioma si muovevano troppo velocemente perché la sola attrazione gravitazionale delle stelle visibili potesse mantenerle unite. La sua interpretazione di questa anomalia fu sorprendente: l’elevata velocità delle galassie è dovuta alla presenza di una grande quantità di materia invisibile che chiamò oscura. Ci vollero più di trent’anni ma infine la sua ipotesi venne confermata. 


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Oggi, il concetto di materia oscura è un pilastro fondante del modello cosmologico con cui descriviamo l’Universo. Moltissime osservazioni, indipendenti e ridondanti, indicano che solo il 4% è composto dallo stesso tipo di materia di cui siamo composti noi (protoni, neutroni ed elettroni, in ultima analisi), mentre più del 96% è materia ed energia di cui ignoriamo la natura. Di questo, il 70% è composto da quella che chiamiamo energia oscura e il 26% circa è, appunto, la materia oscura.

Pur essendo in grado di percepirne la presenza grazie alla sua attrazione gravitazionale, non capiamo ancora quale sia la natura della materia oscura.

Dato che la realtà che ci circonda è composta da particelle, l'ipotesi naturale è che la materia oscura sia costituita da un nuovo tipo di particelle, diverse da quelle che conosciamo. Questa ipotesi guida lo studio della materia oscura da decenni, con attività di ricerca ramificate a livello mondiale.

Le direzioni sono molteplici: da un lato si cerca di estendere il modello standard della fisica delle particelle elementari, in modo da far spazio a nuove particelle in grado di spiegare la materia oscura; dall’altro di cercare indizi sulla sua natura provenienti direttamente dal cosmo. Del resto, di materia oscura nell'Universo ce n'è molta, meglio guardare con attenzione se non ci stia inviando dei messaggi... O meglio, dei messaggeri cosmici.

L’idea è che la materia oscura potrebbe essere indirettamente rivelata da processi di annichilazione, in cui due particelle, scontrandosi, spariscono e producono altre particelle, questa volta standard, che conosciamo bene e sappiamo osservare.

Questo processo è molto raro, ma può avvenire ovunque nell'Universo e inviarci un ampio spettro di messaggeri ovvero particelle che potrebbero includere radiazione elettromagnetica (dalle onde radio ai raggi gamma), neutrini, elettroni e (anti)nuclei. Questo tipo di ricerche rappresenta un mirabile esempio di quella che da alcuni anni si chiama astrofisica multimessaggera e che costituisce uno degli sforzi scientifici a più ampio spettro nella storia della Fisica, coinvolgendo decine di esperimenti tra i più disparati, posizionati nello spazio, nell'atmosfera, a terra, sottoterra, nel mare, sotto il ghiaccio dell'Antartide o nei vari deserti del pianeta. 

Nel 1999, assieme a Pierre Salati del laboratorio di fisica teorica LAPTH di Annecy, in Francia, proponemmo una nuova tecnica di ricerca che riguarda gli antinuclei. Normalmente, nella nostra galassia si formano piccoli quantitativi di antinuclei a causa dell’interazione tra raggi cosmici e gas interstellare. Tuttavia, la nostra ipotesi suggeriva che l’annichilazione della materia oscura potesse produrre non solo antiprotoni, ma anche antinuclei più pesanti come l'antideuterio, e scoprimmo che la probabilità di produrlo a energie molto basse era molto più alta rispetto ad altri antinuclei originati nei processi standard della galassia.

Avevamo trovato una finestra, piccola ma promettente, in cui la materia oscura poteva inviarci un segnale chiaro e distinguibile, privo di interferenze! 

Il segnale di antideuterio, però, è estremamente difficile da misurare. A oggi, nessuno è ancora riuscito a osservare nemmeno un singolo nucleo di antideuterio dalla galassia, anche se alcuni esperimenti ci stanno provando. Tra questi c’è l'Anti Magnetic Spectrometer (AMS) posizionato sulla stazione spaziale internazionale e  una nuova missione NASA, in collaborazione anche con l'INFN, che utilizza un rivelatore disegnato in modo specifico per l'osservazione dell’antideuterio a basse energie ispirato proprio dalla nostra tecnica.

Dopo un lavoro molto complesso durato una ventina di anni, GAPS (General Antiparticle Spectrometer) è ora completato ed è stato recentemente portato in Antartide da dove verrà poi lanciato in alta atmosfera con un pallone stratosferico dal quale aspettiamo, trepidanti, i dati che potrebbero aiutare a risolvere il più grande mistero dell’universo!