Frammenti alteranti. Come le nanoplastiche interagiscono con aria e mare
Qual è il reale impatto delle nanoplastiche sull’ambiente? Come interagiscono con i composti naturalmente presenti nell’acqua di mare e nell’atmosfera? Come possono modificarne i processi naturali? A queste domande cerca di rispondere il progetto di ricerca NaPuE - Impact of Nanoplastics Pollution on aquatic and atmospheric Environments che, finanziato con 1,6 milioni di euro dallo European Research Council, vedrà la collaborazione dell’Università di Torino con l’Università di Helsinki.
Ebbi l’idea durante una cena tra amici, tutti ricercatori come me. I ricercatori hanno la pessima abitudine di parlare di lavoro anche nei momenti di relax. In quell’occasione, si discuteva sull’utilità delle bioplastiche: sono davvero funzionali ad abbattere i livelli di inquinamento del Pianeta? Mi convinsi che la plastica biodegradabile, una volta degradata, avrebbe comunque lasciato dei residui. Ma tornando al mio lavoro feci un passo indietro: sono ancora le plastiche non biodegradabili, la cui degradazione richiede tempi più lunghi di quelli delle bioplastiche, il vero problema che affligge soprattutto gli ecosistemi marini. Il loro processo di degradazione può portare alla formazione di piccolissimi residui: le nanoplastiche, di cui si sa ancora poco rispetto alla loro interazione con l’ambiente. La loro dimensione, pari a miliardesimi di un metro, è paragonabile a quelle delle cellule e dei loro componenti. In generale l'attenzione è incentrata sulla tossicità e sulla presenza delle plastiche nell'ambiente, ma non su come queste possano interferire sui naturali equilibri chimici perché, in molti casi, come materiale, la plastica è considerata inerte. Io invece iniziai a chiedermi: quanto sono chimicamente reattive le nanoplastiche? Possono interagire con l’ambiente e interferire col ciclo del carbonio, contribuendo all’inquinamento ambientale?
Pensiamo a una normale busta di plastica. Quando è integra interagirà con meno di un metro quadrato di estensione, ma quando la stessa busta si frammenta in piccolissimi pezzi, ne formerà miliardi che offriranno all’ambiente circostante una superficie pari a tre campi da tennis! Quindi, è importantissimo capire quali sono le interazioni tra i minuscoli pezzi di plastica dispersi nell’ambiente e i composti che naturalmente si trovano nell’acqua e nell’atmosfera.
Mi resi poi conto che spesso i progetti di ricerca sulle plastiche si concentrano su un solo comparto ambientale alla volta (suolo, acqua o aria); io invece ero interessata a valutare insieme due comparti ambientali: l’aria e l’acqua valutando anche la reattività all'interfaccia tra i due comparti (cioè alla superficie del mare) e quindi come queste possano influenzarsi a vicenda.
Nelle settimane successive a quella cena, finito il mio programma di lavoro quotidiano, mi trattenni ancora al computer a documentarmi sulle plastiche e in laboratorio per alcuni esperimenti preliminari, per capire se valeva la pena approfondire la mia idea. L’entusiasmo era tanto e i primi esperimenti mi diedero ragione: la mia intuizione non era nel campo dell’impossibile. Anzi, molti segnali mi incoraggiarono a darle corpo e vita in un preciso progetto di ricerca. Un progetto che, tuttavia, mi resi conto, conteneva troppi aspetti nuovi, e che i normali canali di finanziamento della ricerca forse non erano adeguati a un lavoro che comportava rischi elevati.
Decisi quindi di puntare sull’European Research Council (ERC), la struttura dell'Unione Europea che sostiene l’eccellenza scientifica nei paesi membri. Così, iniziai a scrivere il progetto sfruttando le mie esperienze passate e studiando ciò che era nuovo per me. Un lavoro che durò alcuni mesi, ma gli sforzi furono premiati: l’European Research Council Executive Agency trovò interessante e promettente la mia proposta di ricerca, approvando e finanziando il progetto con ben 1,6 milioni di euro. È nato così NaPuE - Impact of Nanoplastics Pollution on aquatic and atmospheric Environments in una partnership tra l’Università di Torino e l’Università di Helsinki.
Il progetto NaPuE prevede tre fasi principali. La prima si svolgerà in laboratorio e avrà lo scopo di studiare, in un ambiente controllato, come le nanoplastiche interagiscono con ciò che le circonda. La seconda fase prevede lo sviluppo di metodi per l’analisi e la quantificazione delle nanoplastiche in atmosfera e nelle acque naturali. La parte finale del progetto è basata sullo sviluppo di modelli che possano prevedere gli effetti di queste molecole sui processi chimici naturali che avvengono nelle acque e in atmosfera.
Di fatto il progetto prevede la messa a punto di un metodo per il campionamento e l'analisi di nanoplastiche in acqua e in aria (attualmente ci sono molti limiti strumentali per l'analisi di nanoplastiche nell'ambiente); tale metodo sarà innovativo in quanto utilizzerà, con opportune modifiche, tecniche in uso in altri campi (in campo biomedico o per l'analisi degli aerosol) per l'analisi delle nanoplastiche.
Spero che i risultati che otterremo possano contribuire a una migliore conoscenza dell’impatto ambientale legato ai prodotti di degradazione della plastica, in modo da promuovere un uso più consapevole e responsabile di questo prezioso materiale.