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Tradurre l'antirazzismo. Lezioni di pugilato e letteratura dal Sudafrica

Nel contesto della letteratura sudafricana, del e dal Sud del mondo, tradurre Ivan Vladislavić è stata per me una sfida unica, poiché vuol dire seguire l’autore in una serie di capovolte acrobatiche fra linguaggi specialistici diversi. Il romanzo La distanza è scritto in frammenti, secondo una sua consuetudine stilistica idiosincratica e minimalista per cui ogni frammento implica una scelta linguistica audace e diversa dalla precedente. Così, fra i ritagli di giornale che consacrano il mito di Muhammad Ali, il discorso antirazzista dell’autore si svela attraverso lo sport e i suoi eroi.

“Ivan Vladislavić si è guadagnato un posto di tutto rispetto nel panorama letterario sudafricano, grazie alle sue narrazioni e ambientazioni urbane” ha affermato J.M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, che ha ambientato un intero romanzo a Cape Town, Età di ferro (Donzelli, Roma, 1995), facendocene conoscere le strade, i giardini, il profilo della strada panoramica costiera, i quartieri, nei tardi anni ’80, durante il regime dell’Emergenza, quando le township erano in fiamme, i residenti venivano costretti a sgomberi forzati, e il razzismo si traduceva nella persecuzione di ragazzini adolescenti da parte della Polizia - come nell’episodio in cui una camionetta spinge una bicicletta con su due ragazzini contro un furgone, mandandoli all’ospedale.

Ma se J.M. Coetzee è esplicito nella condanna al regime dell’apartheid, l’antirazzismo nel romanzo di Ivan Vladislavić, per quanto altrettanto veemente, è più sottile, e passa anche attraverso il discorso sullo sport e i suoi eroi.

Una delle metafore centrali del romanzo La distanza (Utopia, Milano 2023) è il fronte/retro, vale a dire la valenza di un racconto e di un’altra versione che letteralmente vi sta dietro. Un primo esempio sono le narrazioni alternate di due fratelli, i due narratori, Joe e Branko, i quali spesso raccontano due versioni della medesima storia, ciascuno dal proprio punto di vista, come il fronte/retro di una medesima pagina di vita. Un secondo esempio sono i ritagli di giornale che Joe conserva gelosamente sin da bambino sul suo eroe preferito della boxe, Cassius Clay, poi divenuto Muhammad Ali, campione dei pesi massimi negli anni 70. Sul retro di quelle meravigliose imprese pugilistiche, quei ritagli recano le notizie delle retate della polizia nei locali pubblici e alle feste private, delle morti sul lavoro di operai neri nelle miniere, di scandali dovuti alla legge contro le unioni interrazziali (il Mixed Marriages Act del 1949 contro quella che veniva definita miscegenation).

La vicenda narrata riguarda una famiglia piccolo borghese di bianchi che negli anni ’70 del boom economico acquista una villetta nelle periferie residenziali di Pretoria. Questa vita relativamente agiata fa sì che l’incontro con l’Altro sia raro e i conflitti razziali, che esplodono sulle pagine dei giornali, non facciano parte dell’esperienza quotidiana dei due ragazzi protagonisti, se non in sporadiche occasioni, come quando Joe incontra una donna di colore ferita e accasciata a terra, e rimane pietrificato e ammutolito.
La paralisi che lo coglie, insieme al mutismo della donna, sono indice di un silenzio sospettoso, di una tensione palpabile, di un reciproco terrore che riduce le relazioni umane interraziali all’impotenza, quasi alla colpevole indifferenza. Un altro episodio, simile, si verifica quando un uomo, in cerca di lavoro, si materializza nel loro giardino di casa. La presenza dell’uomo, malvisto da tutti, sospettato di essere un carcerato, un drogato, un disoccupato, terrorizza tutti, tranne la nonna di Joe che parlava zulu, e il cagnetto che gli fa un sacco di feste.

Tuttavia è attraverso la figura del mitico pugile Muhammad Ali che l’antirazzismo prende forma. Joe se ne innamora sin da bambino; è il suo eroe, ma il pugile incontra il disprezzo di suo padre, che si esprime sempre denigrandolo: “Joe Frazier darà a Cassius Clay una lezione di pugilato, dice Papà. Farà sputare sette tipi di merda a quello sbruffone” (p. 14). Il fratello maggiore Branko, calca la dose ad imitazione dell’adulto. Solo in età matura i due fratelli si chiariranno.

Il pugile africano-americano e musulmano aveva dato al pugilato nuove strategie che si possono leggere come una strada verso la non-violenza: non battere l’avversario per K.O., ma arrivare alla “distanza”, vale a dire, arrivare all’ultimo round e lasciar decidere ai giudici, ai punti, il vincitore, disegnare costellazioni danzando e saltellando con i piedi - con il famoso shuffle -, fino a far incrociare gli occhi all’avversario; buttarsi ripetutamente di schiena sulle corde del ring - il rope-a-dope - per attutire i colpi ricevuto e sfinire l’avversario. Ali si esprimeva spesso in favore dei diritti civili dei neri, talvolta lo faceva in rima, con arguzia e in modo sferzante, tanto che le sue parole non erano meno efficaci dei suoi pugni:

Sono qui per bastonare tutti gli ipocriti nelle strutture di potere
Hanno tutti paura di me perché dico la verità
e porto la liberazione all’umanità.
Il mio segreto è la sicurezza,
Un campione sin dalle mie prime ore,
Sono poetico, sono brillante, sprizzo freschezza
I miei pugni han dimostrato il mio valore.

(pp. 165-166)

Se tradurre il linguaggio della boxe ha richiesto accurata ricerca d’archivio - presso le Teche Rai e nei vecchi numeri de La Stampa -, non di meno i vari linguaggi specialistici hanno richiesto un certosino impegno: le genealogie bibliche hanno ben presto lasciato spazio al funzionamento delle macchine per maglieria, il gioco delle biglie andava sviluppandosi a colpi di arlie e ghoen e ironie, il gergo giovanile si arricchiva di almeno tre diverse varietà di lingue inventate, la lingua detta “Grande”, che funziona al contrario (es. “hai perso”, per intendere “hai vinto”), l’afrikaans confuso con i paradigmi dell’inglese, la lingua alla Huck Finn, oltre alla varietà dell’inglese americano e alla presenza di termini afrikaans.
L’intertestualità riconduceva non solo agli articoli di giornale d’epoca, ma anche ai romanzi di Charteris dedicati a Simon Templar, ai fumetti fotografici, tipo fotoromanzi, ma incentrati sui supereroi, al cinema e alle colonne sonore dei film. I riferimenti culturali poi erano tutti dedicati alle pubblicità e ai prodotti in voga negli anni ’70, così come al gergo giornalistico, metaforico ed esagerato, delle cronache sportive sulla carta stampata e alla radio.
Insomma una ricchezza gergale, linguistica e stilistica che ha costituito per me una palestra indiscutibile e ha richiesto flessibilità ed elasticità impareggiabili, oltre che ricerca continua, su vari fronti.

Bibliografia
- C. Concilio, “South Africa’s Terminal Speech: The Discourse of the Motherland in J.M. Coetzee’s Age of Iron”. Asia, Africa, America, Australia 16, (Roma: Bulzoni, 1994), pp. 83- 96.
- J.M. Coetzee, Age of Iron, Secker and Warburg, London, 1990.
- Traduz. it. di Carmen Concilio, J.M. Coetzee, Età di ferro, Donzelli, Roma, 1995.
- Miriam Makeba, La storia di Miriam Makeba, Gorèe, Siena 2009.
- Ivan Vladislavić, The Distance, Archipelago Books, Penguin Random House, 2020.
- Traduz. it. di Carmen Concilio, Ivan Vladislavić, La distanza, Utopia, Milano 2023.
- Pino Carbone e Francesco Di Leva, Muhammad Ali, 17-22 ottobre, Torino, 2023, NEST, Napoli Est Teatro. Online

Recensioni
- Enrico Franceschini, “Il razzismo è un ring”, La Repubblica, Robinson, 19.11.23, p. 13.
- Marianna Inserra, “Il culto di Muhammad Ali e i ricordi di due fratelli…”, Critica Letteraria, 23.11.23, Online @ https://criticaletteraria.org/2023/11/vladislavic-la-distanza-utopia.html?m=1
- Diva e Donna 15.12.2023.
- Saverio Mariani, “Tra melodia e contrappunto c’è sempre una distanza”, Il rifugio dell’ircocervo, 15.01.2024
- MareMosso.Lafeltrinelli.it 15.12.2023 “Top 10 La classifica di MareMosso”: 7/10. Online.
- Gabriele Ottaviani, “LIBRI: La distanza”, Convenzionali, Worpress.com, 23.12.2023, Online 
- Gianni Montieri, “LETTERATURA/LIBRI: Ivan Vladislavić, La distanza”, DOPPIOZERO, 24.12.2023, Online
- Rosella Clavari, “Ivan Vladislavić - La distanza” Scritti d’Africa, 30.12.2023, Online
- Nicoletta Vallorani, “Non sembrava esattamente nera la pelle di Mohammed Ali”, La Stampa, Tuttolibri, 13.01.2024, p. IX.

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