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Cosa nasce dalle macerie? Raccontare la devastazione, immaginare la ricostruzione

Teufelsberg (Montagna del Diavolo): sotto la collina più alta di Berlino, alta 80 metri e lunga un chilometro, si trovano circa 75 milioni di metri cubi di macerie della Berlino nazista; in cima si trovano le cupole di una stazione di spionaggio della guerra fredda gestita dagli Stati Uniti.

Dai crateri scavati dalle bombe alle colline create dalle enormi quantità di macerie che producono fino all’accumulo di residuati bellici, la guerra modifica la forma del sottosuolo i cui strati profondi conservano le tracce dei conflitti sin dalla nostra preistoria. Visto con gli occhi della letteratura tutto questo diventa stratigrafia letteraria, il cui monito, purtroppo, pare restare inascoltato.

La guerra uccide uomini, donne e bambini, ed è quindi sempre e comunque un crimine contro l’umanità e contro la vita. La guerra devasta i Paesi ed è quindi sempre anche un crimine contro l’ambiente. Questo concetto lo si deduce da un interessante saggio del geologo e  stratigrafo Jan Zalasiewicz, il quale in Battle-scarred Earth: How war reshapes the planet (2015), identifica con il termine “bombturbation” (Hupy, Schaetzl 2006) il particolare effetto di terraformazione - creazione di crateri giganteschi - dovuto agli impatti dei bombardamenti, ma anche ai residuati bellici, i cui resti si trovano disseminati lungo i fronti, oppure negli oceani.
Con sintesi efficacissima lo scienziato scrive: “La guerra dà forma al passato, distrugge il nostro presente e determinerà il nostro futuro”. Sì perché gli strati della Terra conservano le tracce dei conflitti, da quelli del 13.000 a.C. con le fosse comuni del Nord Sudan a quelli moderni che lasceranno tracce geologiche fossilizzate e non solo archeologiche. Gli strati rocciosi profondi presenteranno tracce di esplosivi e resti di ossa umane, prevedibilmente di giovani soldati. Il mare conserva munizioni, mine e bombe che si sedimentano e talvolta esplodono liberando agenti chimici inquinanti oltre ai metalli, in aggiunta i sottomarini nucleari affondati fanno di mari e oceani delle Chernobyl sottomarine.

La letteratura si fa portavoce in parole e immagini evocate della stratigrafia di cui parla Zalasiewicz e la traduce in "stratigrafia narrativa", come scrive Serenella Iovino, professoressa di Environmental Humanities all'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, a proposito delle Opere di Italo Calvino. Una definizione che si può applicare anche a La cripta d’inverno (2009) dove la poetessa e romanziera canadese Anne Michaels racconta con uno stile lirico “da crepacuore” la polverizzazione della città vecchia di Varsavia durante la Seconda Guerra Mondiale e la meticolosa e certosina ricostruzione della città da parte della cittadinanza, sotto la dominazione sovietica. La stratigrafia proposta da Anne Michaels non è diversa da quella cui accenna Zalasiewicz:

“After battles, shattered cities, need to be rebuilt. But what to do with the rubble? In some places, there was too much to simply build over. The tallest hill in the German capital, Berlin, stands 80 metres high and a kilometer in length. Called Teufelsberg (Devil’s Mountain), it is now tree-covered and looks natural. But underneath is some 75 million cubic meters of rubble from Nazi Berlin, including the remains of Albert Speer’s unfinished military college. The top of the Teufelsberg was annexed, ironically, for another conflict - it bears the domes of a US-run cold war spy station (2015, 38).”

Come Berlino, il Mekong, Nagasaki, Aleppo, ma anche Montecassino e altri luoghi ancora della Terra, recano nella stratigrafia profonda tracce delle guerre che hanno cambiato il volto di quei territori in modo indelebile. Così il profugo ebreo a Toronto, Lucien, ricorda le macerie della sua Varsavia nel romanzo di Anne Michaels:
Dalle macerie spuntavano oggetti che, sorprendentemente, né i muri crollati né i fuochi avevano digerito; una spazzola per capelli, la ruota di un carretto, un dito. Il telaio di una finestra sporgeva all’infuori con le tende ancora attaccate; fiori di cotone giallo pallido vagavano svogliati nell’aria, cercando la loro cucina svanita. (2009, 215)

I grandi casermoni nella parte meridionale del distretto di Muranów, a Varsavia, furono costruiti sopra quello che una volta era stato il ghetto. Le macerie erano così alte - poco meno di quattro metri - che non avevamo macchinari adatti per sgomberarle. Così, invece, le macerie furono schiacciate ancora di più, e le case costruite proprio sopra. Poi stesero lì erba e piantarono aiuole su quella terrazza di morti. Ecco il loro “giardino di sangue e suolo.” (2009, 280)

Quest’ultima immagine risponde in modo sinistro al quesito posto da Zalasiewicz: “But what to do with the rubble? In some places, there was too much to simply build over” (2015, 38).
Tra le ricostruzioni romanzesche della Seconda Guerra Mondiale, Le rondini di Monteccasino (2010) di Elena Janeczek, racconta il lungo assedio al Monastero e gli svariati tentativi di riconquista di numerosi battaglioni, tutti stranieri. Il romanzo dello scrittore canadese ma nato in Sri Lanka, Michael Ondaatje, Il paziente inglese (1992), da cui è stato tratto l’omonimo film di Antony Minghella, racconta in modo poetico e drammatico la fine della guerra in Italia, un altro dei territori dove la stratigrafia potrà mostrare le tracce fossili della devastazione bellica.

Pensare che tutto questo avviene ora in Ucraina, secondo una strategia distruttiva già vista di crimini contro l’umanità e contro il territorio, la polverizzazione di città e villaggi, la devastazione delle campagne, è spaventoso e agghiacciante come queste letture dimostrano con il loro monito inascoltato.

Bibliografia
Carmen Concilio, “Whose War? The Influence of Virginia Woolf ‘s Mrs Dalloway in some Postcolonial Writers”, in Lucia Folena (ed.), La Guerra e le armi nella letteratura in inglese del Novecento, Torino: Trauben, 2013, pp. 83-98.
Carmen Concilio, “Italy in Postcolonial Discourse: Jhumpa Lahiri, Michael Ondaatje, Nuruddin Farah”, in English Literature, vol. 3, Venice: Ca Foscari, (Dec. 2016), pp. 113-126.
Carmen Concilio, “Individual Trauma and Bombturbation: World War II in Italy, in M. Ondaatje and H. Janeczek”. In A. Baracco e R. Pollicino (eds), Italian Experiences of Trauma through Film and Media. (Trenton upon Tyne: Cambridge Scholars Publishing, 2022), pp. 16-29.
Serenella Iovino, "Italo Calvino and the Landscape of the Anthropocene: A Narrative Stratigraphy". In S. Iovino, E. Cesaretti, E. Past (eds), Italy and the Environmental Humanities: Landscapes, Natures, Ecologies, (Charlottesville: The University of Virginia Press, 2016), 67-79.
Helena Janeczek, Le rondini di Montecassino, Parma: Guanda, 2010.
Michael Ondaatje, The English Patient, New York: Vintage 1992.
Michael Ondaatje, The Conversations. Walter Murch and the Art of Editing Film, New York: Random House, 2002.
Mat Zalasiewicz, Jan Zalasiewicz, “Battle-scarred Earth: How war reshapes the planet”. Earth 25, (March 2015), pp. 36-41.

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