Storie di ricerca

La prima volta che ho capito di avere un corpo. Il progetto MyFirstBody

Questo contenuto fa parte del tema del mese: Scienziate

Come facciamo a sapere che il nostro corpo è separato dal mondo esterno? Quand’è che iniziamo a capire che siamo noi a controllarlo? Nel progetto MyFirstBody, finanziato dall’European Research Council (ERC), esploriamo come il nostro cervello costruisce la rappresentazione del proprio corpo, dal grembo materno ai primi 18 mesi di vita. Tra ricerca di base e clinica, e grazie a tecnologie all’avanguardia, investighiamo i meccanismi alla base della consapevolezza corporea, fondamentale per costruire la propria identità. 

Dipartimento / Struttura
Psicologia
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Avete mai pensato a come il nostro cervello “costruisce” la nostra immagine? Come facciamo a sapere che il nostro corpo è separato dal mondo esterno e che siamo noi a controllarlo? Queste domande, tanto affascinanti quanto complesse, sono al centro del progetto di ricerca MyFirstBody: bodily-self representation in normal and pathological developmental context, finanziato dall’European Research Coucil e realizzato dal Manibus Lab del Dipartimento di Psicologia di UNITO.

La consapevolezza corporea, intesa come capacità di rappresentare il nostro corpo come un tutto unitario, è una tappa evolutiva cruciale nello sviluppo umano. Questa capacità non solo ci aiuta a interagire con l’ambiente, ma rappresenta anche il punto di partenza per costruire la nostra identità e il rapporto con gli altri. Ma come e quando questa consapevolezza prende forma?


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La ricerca neuroscientifica, fino a oggi concentrata prevalentemente sul cervello adulto, ha iniziato solo di recente a esplorare le radici di questi processi durante lo sviluppo, sia prima che dopo la nascita.

Il progetto MyFirstBody, iniziato a maggio 2023, mira a svelare i meccanismi neurali alla base della rappresentazione del sé corporeo, osservandone l’evoluzione dal terzo trimestre di gravidanza fino ai primi 18 mesi di vita.

Un’impresa che si avvale di tecniche all’avanguardia come l’ecografia, la magnetoencefalografia fetale, la risonanza magnetica funzionale, l’elettroencefalografia e la spettroscopia funzionale del vicino infrarosso, una tecnologia che permette di osservare l’attività cerebrale misurando i cambiamenti nel flusso sanguigno attraverso la luce.

La parte iniziale del progetto si concentra sullo studio prenatale, in collaborazione con l’ospedale Sant’Anna di Torino e il Centro MEG di Tubinga, in Germania. In questo contesto, i ricercatori e le ricercatrici monitorano le risposte dei feti a stimoli multisensoriali, come la combinazione di un tocco con un suono,  trasmessi attraverso l’addome materno, analizzando i movimenti oculari e le risposte cerebrali come indicatori di attenzione.

La fase successiva di MyFirstBody, in collaborazione con la Neonatologia Universitaria dell’ospedale Sant’Anna di Torino, si sposta su neonati e bambini fino a 18 mesi, per studiare come il loro cervello integri le informazioni sensoriali e costruisca una rappresentazione corporea sempre più complessa. Ad esempio, si analizza come reagiscono a stimoli tattili e acustici, come sentire un suono mentre ricevono un tocco sulla manina, per capire come il cervello unisce queste informazioni provenienti da sensi diversi.

Ma cosa succede se il movimento, elemento cruciale per lo sviluppo della rappresentazione del sé corporeo, viene compromesso?

La ricerca vuole rispondere anche a questa domanda studiando la Paralisi Cerebrale Infantile (PCI), una condizione che limita la capacità motoria fin dalla nascita. Collaborando con centri di eccellenza in tutta Italia, tra cui la Neuropsichiatria Infantile Universitaria dell’ospedale Regina Margherita di Torino e l’Unità di Riabilitazione Funzionale dell’Istituto scientifico IRCCS E. Medea di Bosisio Parini, il team di ricerca esplora come la deprivazione motoria possa alterare i processi neurali di integrazione sensoriale e influenzare lo sviluppo della rappresentazione del sé.

Capire come il cervello costruisce l’immagine del nostro corpo può avere un impatto significativo, non solo per la ricerca di base, ma anche per la clinica. Infatti, l’identificazione di indicatori biologici dello sviluppo tipico – i cosiddetti biomarcatori, cioè segnali misurabili nel corpo che indicano un certo stato di salute – potrebbe contribuire a diagnosticare precocemente condizioni atipiche.

Inoltre, esplorare il rapporto tra movimento e consapevolezza corporea potrebbe aprire la strada a nuove strategie riabilitative per la PCI. 

Per perseguire questi obiettivi, MyFirstBody si affida all’impegno e all’entusiasmo di giovani collaboratori e collaboratrici, che con il loro contributo pratico e creativo supportano ogni fase della ricerca. Dalla raccolta dei dati all’analisi, il loro ruolo è fondamentale per trasformare le idee in risultati concreti, portando un mix di competenze e prospettive nuove.

In quest’ottica, il progetto MyFirstBody non offre solo uno sguardo inedito su come ci formiamo come individui, ma ci ricorda anche che la scienza è, prima di tutto, una ricerca condivisa per capire chi siamo e come possiamo migliorare la vita di tutte e tutti.