Come lanciare LEGO nel buio: il machine learning che svela la struttura della materia
Uno degli obiettivi principali della fisica nucleare e delle particelle moderna è comprendere la struttura fondamentale della materia. La mia ricerca scientifica mira ad avvicinarsi a questo traguardo e a contribuire allo studio delle particelle elementari che costituiscono i protoni. Per analizzare i dati sperimentali, utilizzo lo strumento Affinity, un tool di machine learning che ci aiuta a determinare quale modello teorico sia più adatto per analizzare e interpretare le informazioni codificate dalle particelle.
Comprendere la struttura fondamentale della materia che ci circonda e di cui siamo fatti è un compito estremamente complesso, che la fisica cerca di portare a termine da secoli. La materia sembra essere composta da piccoli mattoncini, che possiamo immaginare come mattoncini LEGO: oggetti molto semplici, disponibili in poche dimensioni e colori. Ogni mattoncino corrisponde, in fisica, a quello che chiamiamo “partone”, o “quark”.
Questi quark sono i mattoncini fondamentali delle particelle che costituiscono il nucleo atomico: neutroni e protoni, di cui probabilmente hai già sentito parlare. Combinando tre di questi mattoncini si forma un protone o un neutrone, a seconda del tipo di quark coinvolti.
In sostanza, i partoni sono gli oggetti più piccoli da cui è possibile assemblare la materia, e ciascuno possiede proprietà uniche. Immagina quante cose si possono costruire disponendoli con ingegno. Tutta la materia si costruisce in questo modo, ma purtroppo questi mattoncini non sono direttamente visibili né accessibili o osservabili in alcun esperimento.
Quello che possiamo osservare sono particelle composte da partoni. I protoni, ad esempio, sono abbastanza grandi da poter essere rilevati sperimentalmente. Negli esperimenti di dispersione semi-inclusiva profonda (SIDIS), particelle ad alta energia come gli elettroni colpiscono un bersaglio fatto di protoni per sondarne la struttura interna.
La collisione tra il protone e l’elettrone innesca una serie di reazioni, durante le quali il protone si rompe e genera nuove particelle. Alla fine della collisione, da un lato abbiamo queste nuove particelle, e dall’altro i resti del protone originale. Possiamo misurare l’energia totale della reazione, ma non possiamo determinare con precisione quanta di questa energia provenga da ciascuna delle particelle create durante l’interazione.
Immagina di lanciare con forza un oggetto fatto di mattoncini LEGO in una stanza completamente buia.
Il tuo compito è scoprire quali mattoncini componevano l’oggetto, ma la sfida è che non puoi vedere cosa accade nella stanza dopo l’impatto. Hai solo un’idea dell’oggetto che avevi in mano all’inizio dell’esperimento e di ciò che rimane quando l’esperimento è finito.
Questi esperimenti funzionano in modo tale da mostrare principalmente solo gli stati iniziali e finali. È impossibile tracciare l’intero processo. A volte ciò accade perché la vita di alcune particelle generate dalla collisione è molto breve, e possiamo osservare solo le conseguenze della loro interazione, ma non le particelle stesse.
Puoi cercare di dare un senso a ciò che è accaduto basandoti solo su quello che vedi. Per questo è così difficile interpretare i dati forniti da questi esperimenti. Ciò porta a domande come: ‘Cosa bisogna considerare nella descrizione di determinati processi?’, ‘Possiamo tener conto di tutto ciò che influisce sul risultato finale?’ o ‘Quali proprietà potrebbero essere nascoste dietro oggetti che sono invisibili a noi?’.
Per interpretare i dati che otteniamo da tali esperimenti, utilizziamo uno strumento di apprendimento automatico chiamato Affinity.
Questo strumento cerca di identificare i partoni in diverse regioni cinematiche, che rappresentano le aree in cui teoricamente si prevede che si trovino i mattoncini. In sostanza, questo tool confronta i risultati ottenuti dall’esperimento con quelli previsti da vari modelli teorici e ci aiuta a scegliere quello che meglio spiega i dati osservati. Questo approccio ci consente di determinare quale modello teorico sia più appropriato per i dati specifici che abbiamo.
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Oggi Affinity tool viene utilizzato per descrivere i dati di diversi esperimenti SIDIS, come l’esperimento HERMES, condotto presso il sincrotrone DESY in Germania, l’esperimento COMPASS al CERN in Svizzera e le ricerche condotte dal Jefferson Laboratory presso l’acceleratore CEBAF in Virginia (USA). Sarà inoltre utilizzato per l’interpretazione dei dati dell’EIC, Electron-Ion Collider, che si prevede sarà costruito presso il Brookhaven National Laboratory a New York.
Lo scopo del mio lavoro di ricerca è duplice: da un lato, sto acquisendo una comprensione più profonda e dettagliata dei meccanismi che sottendono l’interpretazione teorica dei risultati sperimentali, e dall’altro, mi sto concentrando sul miglioramento di Affinity stesso. Questo lavoro viene condotto fianco a fianco con il Prof. Boglione e ricercatori come il Dr. Markus Diefenthaler del Jefferson Lab.