Come un pesce pagliaccio: la simbiosi tra tumore e microambiente per sfuggire alle cure
Negli ultimi venti anni, i farmaci cosiddetti “mirati” hanno profondamente modificato il trattamento dei pazienti oncologici. Tuttavia, anche i pazienti che meglio rispondono alle terapie, a un certo punto possono smettere di farlo e diventare “resistenti” al trattamento. Questo rappresenta uno dei principali ostacoli all'efficacia clinica della medicina di precisione. Ma come si sviluppa la resistenza alle terapie? A lungo le ricerche si sono concentrate sulle modificazioni che coinvolgono le sole cellule tumorali, ma forse occorre allargare il campo di studio.
In un lavoro pubblicato di recente sulla rivista Cell Metabolism abbiamo scoperto che anche il microambiente che circonda le cellule tumorali può giocare un ruolo importante nell’insorgenza di resistenza alle nuove terapie a bersaglio molecolare, quelle in grado cioè di inibire le molecole che, alterate in specifici tumori, ne promuovono la crescita e la sopravvivenza.
Quando topolini che presentano tumori del polmone o dello stomaco con alterazioni di particolari molecole vengono trattati con alcuni farmaci cosiddetti “mirati”, che vanno a colpire proprio queste alterazioni molecolari, inizialmente i tumori smettono di crescere e regrediscono, a dimostrazione dell’efficacia e della potenza di questi farmaci. Con il passare del tempo però, le cellule tumorali sopravvissute, bersagliate continuamente dai farmaci, cambiano il loro metabolismo e iniziano a produrre elevate quantità di una molecola chiamata lattato. Il lattato, rilasciato in grandi quantità nel microambiente tumorale, istruisce alcune delle cellule che lo popolano - i fibroblasti - a produrre altre molecole dette fattori di crescita: sono queste ad agire sulle cellule tumorali, stimolandone la crescita nonostante la presenza del farmaco, e quindi rendendole insensibili alla terapia.
Durante il trattamento farmacologico si sviluppa quindi una sorta di scambio, potremmo dire di simbiosi, tra le cellule tumorali e l’ambiente in cui il tumore cresce, che si influenzano vicendevolmente. Come i pesci pagliaccio che sfruttano gli anemoni dell’ambiente marino per sfuggire ai predatori, così le cellule tumorali sfruttano i fibroblasti del loro microambiente per sfuggire all’attacco dei farmaci.
Arrivati fino a qui sorgono diverse domande, come ad esempio: quali tipi di terapie possono dare origine a questo tipo di resistenza? È un meccanismo ristretto a pochi farmaci o comune a diversi tipi di terapie? Esistono biomarcatori che permettano di identificare precocemente lo sviluppo di tale resistenza? È possibile trasformare questa scoperta in una nuova possibilità di cura, bloccando la produzione di lattato?
Siamo già al lavoro e spero di cuore di potervi dare le risposte nel mio prossimo Racconto di Ricerca!