Plasticene: tra plancton blu e micro-meduse, le tracce di una nuova epoca
Per la prima volta, nella storia del pianeta Terra, un’epoca geologica sta per essere associata non più a una scala temporale scandita dalla presenza di tracce distinguibili in rocce, sedimenti o in resti fossili, testimoni di un antico passato. L’Olocene, l’ultimo periodo dell’Era quaternaria, potrebbe essere già tramontato e un nuovo orizzonte temporale averlo già sostituito: alcuni lo chiamano Plasticene, l’epoca della plastica. E come biologi marini lo stiamo constatando nel corso di ogni nostro monitoraggio, ormai.
Mar Ligure meridionale, dieci miglia a Ovest della costa italiana. Velocità di crociera: sette nodi.
“Libeccio chiama Guardian, mi sentite Guardian? Il Comandante richiede permesso all’ingresso in area interdetta alla navigazione per attività di monitoraggio scientifico, passo”.
“Ricevuto Libeccio, procedete pure. Buon lavoro Comandante, passo e chiudo”.
Routine operative, silenzio radio, la navigazione riprende a velocità di crociera. La prua del rimorchiatore scivola sull’acqua e taglia in due la superficie a specchio di un mare immobile. Ci siamo. Due ore di navigazione ci conducono sul punto esatto indicato dal GPS e impresso dal piano di monitoraggio che conserviamo sigillato in una busta stagna. Pochi istanti e le reti saranno a mare. Rigorosamente, ogni tre mesi, il nostro compito è monitorare la colonna d’acqua interessata dalla presenza di un rigassificatore off-shore, un’imponente nave cisterna che, ancorata al fondale marino, converte gas, dallo stato liquido a gassoso. Ci occupiamo di zooplancton, la componente animale del plancton marino, caratterizzata dalla presenza di numerosissime forme differenti di organismi tra i quali spiccano i crostacei copepodi, il gruppo animale più abbondante del pianeta.
Le reti coniche e sottili (200 - 300 micron il vuoto di maglia), dotate di collettori di raccolta dei campioni sono già in acqua, la velocità del rimorchiatore segna due nodi. Così prevede il protocollo di campionamento e ogni volta è rassicurante immaginare che certi gesti, certi metodi siano gli stessi in ogni mare del pianeta. A ogni rete è associato un flussimetro, uno strumento simile a un siluro affusolato che meccanicamente segna su un display il numero di giri compiuti dalla sua piccola elica. I giri totali ci saranno utili per calcolare, in laboratorio, il numero di individui al metro cubo, il dato quantitativo utile a confrontare i nostri dati con quelli della letteratura scientifica.
Quindici minuti sono sufficienti per raccogliere il primo campione. Ma le sorprese non mancano, ogni volta che salpiamo qualcosa ci suggerisce che, già da qualche anno, le cose stanno cambiando. Nei collettori, tra la miriade di organismi che, sollecitati dal contatto con i vicini emettono lampi di luce bluastra di pochi millisecondi - la sorprendente e affascinante bioluminescenza del plancton - galleggia una moltitudine di minuscoli frammenti colorati, di forme e dimensioni differenti: piccole sfere, filamenti sottili, pellicole flessibili, rigidi pezzetti logorati dal tempo.
Trasferiamo il campione in un barattolo trasparente di fronte al quale potremmo rimanere delle ore a osservare. In un volume ridotto di acqua salata migliaia di organismi si muovono frenetici, saettano, scattano, guizzano, girano vorticosamente, serpeggiano, rimbalzano sulle pareti del collettore, affondano e tornano a galla. Sono prede e predatori al tempo stesso. Con una piccola pipetta aspiriamo e trasferiamo pochi millilitri di acqua in una capsula di vetro che appoggiamo sopra il piattello di un microscopio binoculare. A maggiore ingrandimento quella moltitudine di creature prende forma: organismi gelatinosi, vermi saetta, anfipodi simili a mostri marini, larve di granchi e paguri, centinaia di crostacei copepodi, meduse in miniatura pulsano in poche gocce d’acqua e larve di pesci abissali girano vorticosamente.
In laboratorio ci attende una lunga e paziente attività di selezione, riconoscimento e identificazione degli organismi che ci consentirà di comprendere se i parametri ambientali sono rispettati o se invece sono presenti anomalie nella composizione della comunità zooplanctonica dell’area. Ma c’è qualcosa di estraneo al mondo naturale nella matrice acquosa nella quale questo universo si muove, qualcosa che i metodi raccontati qui dal collega Luca Rivoira permettono di individuare e separare dai microrganismi del plancton. Sono decine di frammenti di plastica, micropolimeri che infestano il campione biologico e che ormai con una certa rassegnazione registriamo ogni volta che ci spingiamo fin qui, in alto mare, lontano, ma non abbastanza per non testimoniare l’impronta indelebile dell’uomo.
Ma questa lontananza è solo apparente: come racconta qui la collega Erika Cottone, tutto questo non solo ci riguarda ma costituisce una seria minaccia per la nostra salute.
Benvenuti nel Plasticene.