Sulla scena del crimine... di un'opera d'arte!
Un artista può nascondere innumerevoli simboli e riferimenti visivi in un dipinto. Ma gli stessi materiali costituenti di queste opere d'arte possono contenere un'enorme quantità di informazioni su come sono state eseguite e qual è il loro stato attuale. Oggi, gli scienziati del patrimonio culturale possono utilizzare un’ampia varietà di tecniche per svelare informazioni profondamente nascoste nelle opere d'arte visive. Con questo progetto di ricerca - inserito nel programma T4C* - intendo sviluppare tecniche di imaging non invasive per comprendere le caratteristiche e il degrado dei pigmenti.
"In che modo l'artista preparava la superficie pittorica prima di mettersi al lavoro? Quanto era costoso o facilmente reperibile in quel periodo quel pigmento rosso brillante? Il pittore era consapevole che la sostanza che usava conteneva arsenico ed era quindi tossica? Sapeva che quel pigmento si sarebbe degradato e sarebbe diventato nero dopo trecento anni?"
Sono uno scienziato del patrimonio culturale all'inizio della mia carriera, e una delle "deformazioni professionali" che sento di aver fatto mia è il fatto di aver iniziato a percepire le opere d'arte più attraverso la loro materialità e meno attraverso le loro qualità visive ed estetiche. Come giovane studente di letteratura inglese nei miei primi anni di università, ero attratto da quegli aspetti visivi delle opere d'arte che completavano la mia comprensione di personaggi letterari e storici o eroi mitologici. Ora, invece, ogni volta che mi imbatto in un dipinto in un museo, in una chiesa o in un ambiente di vita quotidiana, quello che vedo è soprattutto il risultato di una serie di processi decisionali che sono stati negoziati, dettati e modellati dalle caratteristiche fisiche dei materiali utilizzati per la realizzazione di quelle opere d'arte.
Guardare in profondità le caratteristiche materiali delle opere d'arte necessita di metodologie o attrezzature simili a quelle usate nelle scienze forensi. Nell'analisi scientifica delle opere d'arte, sia questa svolta in un laboratorio di conservazione o in un laboratorio di archeometria, gli scienziati dei beni culturali utilizzano un'ampia varietà di tecniche e strumenti, come le radiazioni ultraviolette o infrarosse, i microscopi elettronici e le tecniche di separazione (come la cromatografia), che forniscono una comprensione dettagliata delle caratteristiche dei materiali e del loro comportamento nel tempo e in relazione al loro ambiente (come il degrado). In altre parole, come si fa nelle scienze forensi con la scena del crimine, analizzare un’opera d’arte usando gli strumenti dell’indagine scientifica può permettere di ripercorrere le azioni umane o i processi naturali che un manufatto ha attraversato nel tempo. Queste informazioni, a loro volta, possono essere ampiamente utilizzate da altri specialisti, come gli storici dell'arte e i restauratori, per l'autenticazione e la diagnostica o per rispondere a domande più ampie riguardanti l'indagine diacronica delle tecniche pittoriche e dei tipi di pigmento utilizzati.
Tuttavia, queste promettenti potenzialità di ricerca non sono prive di ostacoli e limitazioni. Uno dei problemi più sentiti è rappresentato dal fatto che i beni del patrimonio culturale sono risorse non rinnovabili, che non possono essere recuperate una volta perse. In altre parole, lo scienziato è investito della gravosa responsabilità di non intaccare, nel modo più assoluto, l'integrità delle opere d'arte analizzate. Da questo punto di vista, pur coscienti del fatto che prelevare un campione (anche se microscopico e in molti casi non visibile a occhio nudo) da un'opera d'arte potrebbe fornire una comprensione più profonda dell'oggetto, gli attuali codici etici e scientifici di conservazione prediligono l'impiego di tecniche non invasive, che non causano danni fisici o alterazioni nei manufatti analizzati.
Al giorno d'oggi, abbiamo a disposizione molti strumenti analitici non invasivi, come la fluorescenza a raggi X portatile (pXRF) o gli strumenti di imaging, che forniscono informazioni basate sulle interazioni tra le onde elettromagnetiche e i costituenti materiali del manufatto. Nel caso della pXRF, i dati rivelano la composizione chimica di un'area circoscritta (sotto forma di uno spettro caratteristico) mentre le tecniche di imaging offrono informazioni spaziali riguardanti le caratteristiche materiali degli strati cromatici delle opere d'arte. Inoltre, i metodi di imaging spettrale (multi e hyperspectral imaging; MSI/HSI), possono combinare i dati spettrali con la loro rispettiva distribuzione spaziale e costituiscono uno strumento utile per gli specialisti del patrimonio culturale.
In questo contesto, il progetto BHSICS (Bridging Hyper Spectral Imaging and Conservation Science), è finalizzato allo sviluppo di protocolli - specifici per il patrimonio culturale - per l’acquisizione di dati di imaging multi e iperspettrali (MSI / HSI) e per la costruzione di opportuni database in cui inserirli. Il nostro auspicio è che questo database possa servire come strumento di riferimento per altri specialisti del patrimonio culturale in tutto il mondo, per permettere di interpretare i dati di altri progetti. BHSICS coinvolge un gruppo di professori e ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra di UniTo e del Centro Conservazione e Restauro de La Venaria Reale, che lavorano allo sviluppo di opportuni provini sperimentali per testare e documentare le caratteristiche e il comportamento dei pigmenti nel loro stato originale e nelle miscele. L'auspicio è che gli strumenti e il know-how prodotti attraverso questo sforzo contribuiscano a migliorare le tecniche di analisi non invasive e le metodologie, per sviluppare pratiche migliori e più sostenibili per la conservazione del patrimonio culturale.
*Il progetto T4C (Technologies for Cultural Heritage) è finanziato dal programma Horizon 2020 per la Ricerca e Innovazione dell'Unione Europea, in accordo con il Marie Skłodowska-Curie grant agreement N. 754511