Quale energia per tempi futuri? Dall'idrogeno una soluzione alla sfida delle rinnovabili
Da tempo si sta studiando l’uso dell’idrogeno come vettore energetico per immagazzinare grandi quantità di energia in poco spazio, seguendo un processo a basso impatto ambientale in cui l’unico ingrediente è l’acqua. Noi abbiamo raccolto la sfida con il progetto HyCARE, che mette in campo le tecnologie sviluppate nel nostro Ateneo e nei centri di ricerca europei con il prezioso supporto di aziende del territorio piemontese.
Facciamo un esperimento: prendiamo un bicchiere d’acqua, una batteria, un rotolo di alluminio da cucina e due tratti di filo elettrico. Colleghiamo il polo positivo a un cavo elettrico che avvolgeremo all’estremità libera con un foglio di alluminio, facciamo la stessa cosa con il polo negativo alla cui estremità libera collegheremo invece un foglio di alluminio “disteso”. Immergiamo in acqua quest'ultimo insieme all'elettrodo positivo: immediatamente vedremo svilupparsi delle bollicine di gas dal foglio di alluminio disteso. Si tratta di idrogeno: abbiamo appena scisso qualche molecola di acqua in idrogeno, appunto, e ossigeno, che uscirà invece dall’elettrodo positivo disperdendosi facilmente in atmosfera.
Quello che abbiamo prodotto è un elettrolizzatore. Se sostituiamo l’energia della batteria con quella prodotta da fonti rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, abbiamo tra le mani la prima parte del processo utile a immagazzinare questa energia, caratterizzata di norma da una intermittenza nella produzione (non sempre c’è vento e di notte non c’è il sole). Eppure la richiesta di energia elettrica si concentra in alcune ore del giorno e in certe stagioni dell'anno, che non sempre corrispondono ai momenti in cui questa viene prodotta. Per questo diventa cruciale immagazzinarla.
Fra le molte soluzioni proposte, da tempo si sta studiando l’uso dell’idrogeno come vettore energetico che, rispetto alle batterie, permette di immagazzinare grandi quantità di energia in poco spazio, seguendo un processo a basso impatto ambientale in cui l’unico ingrediente è l’acqua, come abbiamo visto nel nostro esperimento “casalingo”. Negli impianti pensati per questo scopo, l’energia rinnovabile prodotta viene mandata a un elettrolizzatore, che scinde l’acqua in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno prodotto viene immagazzinato, per essere poi riconvertito in energia elettrica mediante una cella a combustibile.
A differenza del nostro esperimento, negli elettrolizzatori moderni non si usa alluminio, ma si cercano materiali che sviluppino facilmente la reazione di riduzione degli ioni H+ in idrogeno. Solitamente sono basati su elementi preziosi, per esempio il platino, ma si cerca oggi di sostituirli con materiali meno costosi. Inoltre oggi sono in fase di studio elettrolizzatori con potenze di qualche centinaio di MW, in grado di produrre alcune tonnellate di idrogeno ogni ora.
L’immagazzinamento dell’idrogeno rimane però un problema aperto e a questo vuole rispondere il progetto HyCARE, che è coordinato dal mio Dipartimento e finanziato con circa 2 milioni di euro dalla Comunità Europea, attraverso la piattaforma FCHJU. L’idea che sta alla base del progetto è che l’idrogeno può essere assorbito all’interno di una polvere metallica in condizioni blande, cioè a temperature e pressioni prossime all’ambiente. Questa soluzione ha oltretutto il vantaggio di ridurre notevolmente il volume richiesto per l’immagazzinamento anche di elevate quantità di idrogeno.
La quantità di idrogeno immagazzinata sarà pari a 50 kg, la massima quantità mai immagazzinata in Europa con questa tecnica. Il progetto prevede la produzione di quasi 4 tonnellate di polvere metallica, che verranno inserite in appositi contenitori. La gestione termica dell’impianto avverrà mediante un approccio innovativo, facendo uso di materiali a cambiamento di fase, incrementando di molto l’efficienza del processo.
Il consorzio è capitanato dall’Università di Torino, insieme all’Environment Park di Torino, e vede la presenza di una grossa azienda tedesca di produzione di polveri metalliche, la GKN Sintermetal, e della multinazionale francese dell’energia Engie, che metterà a disposizione i suoi laboratori a Parigi per l’impianto dimostratore. La costruzione dell’impianto sarà realizzata da due piccole-medie aziende, una tedesca, la Sthüff, e una italiana, vicino a noi, la Tecnodelta di Chivasso. Nutrita è la compagine di ricerca, con la Fondazione Bruno Kessler di Trento, il CNRS francese, l’Helmholtz Zentrum di Geesthacht in Germania e l’Istituto per l’Energia norvegese di Kjeller, vicino a Oslo.
Il progetto HyCARE è per noi una grande sfida, che ci permetterà di dimostrare in una applicazione reale l’uso dell’idrogeno come vettore energetico. Sarà l’occasione per mettere in pratica ciò che studiamo a livello sperimentale e teorico nei nostri laboratori da molti anni. La presenza di piccole-medie aziende rappresenta una splendida opportunità per valorizzare le tecnologie per l’idrogeno che si stanno sviluppando nel nostro ateneo, anche in collaborazione con aziende del territorio piemontese. La Regione è infatti è molto interessata alla introduzione delle tecnologie basate sull’idrogeno, come dimostrato dai molti progetti in corso, anche in collaborazione con altre istituzioni europee. Per esempio la Regione è stata incaricata di coordinare il gruppo di lavoro per lo sviluppo in Europa della mobilità ferroviaria basata sull’idrogeno e le celle a combustibile.
E altri progetti sono in corso, sia sul fronte della mobilità, sia nell’ambito dell’immagazzinamento dell’energia. Ve ne parleremo con piacere in uno dei prossimi racconti.