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Studio del passato dell'umanità

Cibo e globalizzazione? Una relazione “vecchia quanto il mondo”!

Corone dei denti quasi completamente rivestite da tartaro dentale.

Il rapporto con il cibo e lo sfruttamento delle risorse ambientali tracciano da sempre le traiettorie evolutive dell’umanità. L’esame dei resti umani da diverse aree geografiche antichi migliaia di anni ma anche l’analisi di frammenti di piante, animali e della ceramica usata per cuocere e immagazzinare i cibi, evidenziano l’origine antichissima della food globalisation e dei suoi impatti sull’ambiente umano e naturale. 

La società occidentale odierna è ossessionata dal cibo, e sempre più spesso assistiamo alla proliferazione di narrative che propongono un'equivalenza concettuale tra tradizione culinaria locale (dalle origini, si suppone, antichissime) e identità culturale. Questa tradizione viene contrapposta a una crescente globalizzazione del cibo, presentata come fenomeno esclusivo della società industrializzate e, nella sua essenza, fondamentalmente negativo. Tuttavia lo studio interdisciplinare della dieta e delle tradizioni culinarie del passato, con le tecniche della bioarcheologia, può farci scoprire delle prospettive inattese sul rapporto uomo-cibo e su come questo sia evoluto nel tempo.

Cibo, salute e società
È ben noto che, a partire da circa 10mila anni fa, popolazioni umane in diverse aree del pianeta portarono a compimento il processo di domesticazione di specie vegetali e animali, che progressivamente divennero il sostegno di economie basate sull'agricoltura. La dieta, nelle società di cacciatori-raccoglitori, era molto varia e garantiva l’assunzione equilibrata di tutte le sostanze nutritive necessarie, essendo basata sullo sfruttamento di un ampio spettro di risorse selvatiche animali e vegetali (incluse centinaia di varietà di cereali). Successivamente la dieta divenne molto meno bilanciata e più povera dal punto di vista nutrizionale. Gli impatti negativi sulla salute umana sono dimostrati dalle analisi di antropologia fisica condotte sui resti scheletrici: esse ci rivelano come i primi agricoltori fossero gracili e soffrissero con maggior frequenza di malattie da carenze nutrizionali e patologie dentarie legate al consumo eccessivo di carboidrati. L'aumentata disponibilità di cibo assicurata dall'agricoltura e dall'allevamento, la necessità di gestire il surplus alimentare (o, al contrario, di fronteggiare episodi di carestia) e la crescente urbanizzazione innescarono a loro volta un aumento di episodi di violenza interpersonale. Un altro effetto di questa trasformazione fu l’emergere di sempre più nette distinzioni tra le attività produttive condotte dalle donne e dagli uomini. Per esempio, si rileva una maggiore robustezza degli arti superiori femminili ricollegabile alle attività prevalentemente femminili, in generale rappresentate dalla lavorazione del cibo (macinatura a mano) o del pellame, così come la cura del bestiame.

“Naturale” è un concetto relativo
D’altra parte, un dato che viene spesso ignorato è quello evidenziato dalle analisi di archeologia ambientale, che dimostrano che lo sviluppo dell'agricoltura - ma anche le attività di gestione dell'ambiente a opera dei cacciatori-raccoglitori in periodi precedenti, durante il Paleolitico - portarono a modificazioni irreversibili della biosfera, quali per esempio l’estinzione di numerose specie animali, la traslocazione di altre, la diffusione di patogeni, la deforestazione. Queste non furono necessariamente negative ma ebbero comunque un impatto tale da consentirci di affermare che i paesaggi "naturali" non esistono più da migliaia di anni. L'altro aspetto da evidenziare è che la traslocazione di specie (domestiche e non), e di competenze nello sfruttamento delle risorse, fosse pratica comune fin dalla nascita di stabili reti di trasporto e scambio a lungo raggio. Nell’area Mediterranea, queste erano già ben sviluppate nel III millennio a.C., e questa forma di globalizzazione dei cibi poteva avere l’effetto positivo di migliorare le caratteristiche nutrizionali delle diete "agricolturali”.

Il caso del latte
Lo sfruttamento del latte e suoi derivati è un ottimo esempio di pratica "globale": il latte è una risorsa rinnovabile con alto valore nutrizionale, che può essere trasformato in prodotti (formaggio, burro, yogurt) che ne consentono l’immagazzinamento e che hanno il beneficio ulteriore di rimuovere il siero, che contiene il lattosio, ovvero lo zucchero che provoca la ben nota intolleranza al latte. La diffusione nella popolazione della mutazione genetica che consente di digerire il lattosio (lactase persistence, LP) ha origini recenti e si pensa che sia dovuta a un processo di coevoluzione genetica-culturale. In realtà le analisi archeozoologiche e di archeologia biomolecolare hanno dimostrato come lo sfruttamento dei latticini fosse ben stabilito anche in assenza di questa mutazione. Infatti, per i primi agricoltori di area Mediterranea e Mesopotamica era molto importante poter contare su questa risorsa, come supplemento a una dieta prevalentemente vegetariana e nei momenti di scarsità dei raccolti.

Frutti e cereali desueti
D’altro canto, con il processo di domesticazione dei cereali e il loro sfruttamento, come il grano e l’orzo, molte risorse di cibo selvatiche conosciute in antichità sono andate dimenticate o perdute. Un caso poco conosciuto è quello dei raccolti perduti dell’Africa, dove per esempio ci sarebbero più di 60 specie di cereali selvatici commestibili caduti in disuso con l’introduzione, per esempio, del mais. Alcune di queste specie sono addirittura considerate a oggi piante infestanti. I cambiamenti nelle tipologie di cibi sfruttati e l’introduzione dello zucchero nella dieta hanno anche causato un cambiamento nel percezione dei cibi amari e acidi, e alcune specie di frutti sono state abbandonate proprio in seguito a questa trasformazione nel gusto.

Lo studio del passato, che a volte si attua anche attraverso l’esame dei resti umani, dei frammenti di piante e animali e dei cocci di ceramica “grezza” usata per la cottura e l’immagazzinamento dei cibi, ci fornisce quindi degli strumenti concettuali preziosi per riconoscere le origini millenarie di fenomeni di lunga durata, quali la tendenza umana alla modificazione dell’ambiente circostante e alla “globalizzazione”.


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