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Ecosistemi, Biodiversità e Comportamento animale

Fiumi di pietra: l’impatto delle secche sulla biodiversità dei fiumi alpini

Foto: Fernando Reyes / Unsplash

Le secche fluviali si stanno diffondendo sempre di più anche negli ambienti alpini, dove un recente progetto PRIN, condotto dal nostro gruppo di ricerca, ne ha evidenziato il potenziale impatto sulle comunità biologiche, sulla biodiversità e sulla funzionalità ecologica dei nostri fiumi.

I fiumi sono sicuramente fra gli ambienti più importanti dal punto di vista ecosistemico e antropico, ma sono anche quelli più minacciati da crescenti alterazioni di diversa natura e origine, che vanno dalle modificazioni del paesaggio da parte delle varie attività umane alla crisi climatica.
In particolare desta preoccupazione lo stravolgimento dei regimi idrologici, con la conseguente estremizzazione delle portate. Non ci sono più le stagioni di una volta… si sente sempre più spesso dire, in un refrain tanto comune quanto dotato di un fondo di verità scientifica: l’innalzamento delle temperature, sommato all’acuirsi dei fenomeni meteorologici (con piogge sempre più intense e concentrate), ha cambiato letteralmente la natura stessa dei nostri fiumi, con l’aggravarsi di fenomeni estremi come secche e piene.

A questi fattori che operano su scala globale si affianca poi una causa che agisce a scala locale, cioè l’eccessiva sottrazione di acqua da parte dell’uomo.
Le secche sono un elemento naturale delle acque interne di molte regioni: in numerose aree del mondo, i fiumi sono sistemi di raccolta e trasporto delle acque meteoriche (di precipitazione atmosferica, che non sono evaporate o state assorbite dal terreno, NdR) che “funzionano” solamente in alcuni periodi dell’anno. Tali sono, ad esempio, gli intermittent streams dei deserti australiani e californiani, le quebradas delle montagne andaluse e le fiumare calabresi (o ancora del deserto di Negev in Israele, come ci ha raccontato Marco De Vecchi, NdR.).
I fiumi alpini, al contrario, hanno sempre avuto regimi idrici permanenti, alimentati da cospicui apporti pluviali, nivali e glaciali, e solo in tempi recenti l’acqua ha iniziato a sparire dagli alvei. Quali sono gli effetti ecologici e biologici connessi alla progressiva diffusione delle secche sulle Alpi?

Per rispondere a questi quesiti abbiamo partecipato al progetto PRIN NOACQUA (risposte di comuNità e processi ecOsistemici in corsi d'ACQUA) insieme alle Università del Piemonte Orientale, di Parma e di Ferrara. Il gruppo piemontese, poi confluito nel Centro ALPSTREAM, si è incaricato di studiare l’impatto ecologico delle secche sulle alghe diatomee, sulle comunità di macroinvertebrati bentonici (cioè insetti, crostacei, molluschi e altri invertebrati che vivono nel letto dei fiumi) e su alcuni processi funzionali - come la variazione della produttività algale e il tasso di decomposizione della materia organica - in tratti perenni e in tratti recentemente intermittenti, cioè caratterizzati dalla presenza di secche.

Dall’analisi dei dati raccolti emerge un quadro preoccupante: su 17 fiumi montani monitorati durante il PRIN, ben 13 sono andati in secca nella torrida estate del 2017, quando anche le sorgenti del Po si prosciugarono. Gli effetti sulla biodiversità sono drammatici, poiché la riduzione delle portate comporta la diminuzione dei microhabitat disponibili, l’aumento dell’eutrofizzazione (arricchimento in nutrienti, soprattutto fosforo e azoto, degli ecosistemi acquatici), il crollo dell’ossigeno disciolto e quindi l’eliminazione di numerose specie, sia animali sia vegetali. In pratica, la comparsa delle secche rappresenta un vero e proprio filtro che seleziona e riduce la biodiversità, con conseguenze che possono essere drammatiche anche sulla funzionalità dei sistemi fluviali e sulla loro capacità di auto-depurazione.


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