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Ecosistemi, Biodiversità e Comportamento animale

Vivere con gli umani. Come cambiano gli ecosistemi in città?

Photo by Rubén Bagüés on Unsplash

Come agiscono le leggi naturali in ambiente cittadino? Quali ecosistemi sopravvivono e si sviluppano? Studiando le piccole aree verdi delle rotatorie come laboratori a cielo aperto, scopriamo ecosistemi inediti in cui gli organismi, selezionati in base a precise leggi ecologiche, sviluppano caratteristiche anatomiche leggermente diverse rispetto a quelli che abitano aree meno urbanizzate.

Lo sviluppo crescente e incontrollato delle città a scapito di ambienti naturali ha recentemente stimolato la ricerca ecologica in ambito urbano. Capire come agiscono le leggi naturali in questo ambiente è un tema di ricerca estremamente attuale e vivo nell’ambito delle scienze naturali, con importanti ricadute sulla pianificazione degli spazi verdi urbani.
In questo contesto, l’ecologia urbana intende comprendere le reazioni degli organismi e delle comunità biologiche alle alterazioni ambientali tipiche del processo di urbanizzazione. Nell’ambito di un Progetto di Ricerca finanziato dal “Master dei Talenti della Società Civile” della Fondazione Goria, abbiamo studiato la risposta di organismi modello come insetti, ragni e altri artropodi al processo di urbanizzazione nell’area metropolitana della città di Torino, coinvolgendo i comuni di Torino, Moncalieri, Beinasco, Grugliasco, Collegno, Venaria Reale e Settimo Torinese.

Come spesso capita nella ricerca ecologica, inizialmente abbiamo dovuto ridurre la complessità del problema, limitando cioè i fattori che avrebbero interferito con l’interpretazione dei risultati. Il primo passo è stato quindi individuare spazi verdi delimitati, di forma standard e poco accessibili ai cittadini, che potessero fungere da piccoli laboratori dove studiare i meccanismi che influenzano le comunità di artropodi. Dove trovarli?
…ma certo! Le rotatorie! Ne abbiamo identificate 15, distribuite lungo un gradiente di urbanizzazione crescente, dai margini dell’area metropolitana al centro città, a cui abbiamo affiancato indagini parallele in aree verdi di dimensioni maggiori attigue alle rotonde (vedi mappa in fondo).

Come dato preliminare abbiamo verificato che le superfici più densamente urbanizzate hanno valori di temperatura superiori anche di 5°C rispetto a quelle dei margini metropolitani (il cosiddetto effetto “bolla di calore”). Una variazione che è tuttavia poco evidente nelle rotonde, per le quali, anche nei siti meno urbanizzati, i valori di temperatura sono comparabili a quelli osservati in centro città.
Abbiamo quindi osservato che gli organismi predatori, specialmente i più sensibili come i coleotteri carabidi e i ragni, diminuiscono all’aumento dell’urbanizzazione e della temperatura, mentre altri gruppi più generalisti, come le formiche e i collemboli, sono influenzati positivamente da questi fattori, traendo probabilmente vantaggio dalla diminuzione della presenza di possibili predatori. Abbiamo quindi dedotto che organismi che si collocano in diversi “gradini” della catena alimentare (livelli trofici) rispondono in modo diverso all’urbanizzazione, con importanti effetti sul flusso complessivo di energia negli ecosistemi urbani. In altre parole la crescente urbanizzazione agisce come un filtro ambientale, che seleziona solo gli organismi più tolleranti.
La capacità di dispersione delle specie è poi un altro fattore alla base della composizione in specie degli ecosistemi urbani, ed in particolare le rotonde: soltanto le specie più abili nel disperdersi nell’ambiente possono colonizzare questi habitat.

Infine abbiamo osservato che vivere nelle aree densamente urbane cambia anche… la forma degli organismi! Le misure effettuate sulle zampe della specie modello (Pardosa proxima, un vorace cacciatore di prede della famiglia dei ragni lupo, comune in ambienti degradati) hanno mostrato come gli individui che crescono “in città” sviluppano femori di dimensioni maggiori. Come mai? Capirlo non è semplice. L’ipotesi è che gli ambienti urbani siano caratterizzati da catene trofiche estremamente semplificate, e questo implicherebbe una ripartizione anomala dell’energia nei diversi livelli trofici della catena alimentare: la mancanza di predatori e il mancato trasferimento di energia a livelli superiori della catena determina probabilmente un accumulo di energia nei livelli intermedi, con conseguente aumento delle dimensioni degli individui.

Se da un lato lavorare in ecosistemi urbani dimostra l’universalità delle leggi che regolano il funzionamento degli ecosistemi, dall’altro ci mostra quanto i processi umani possano interferire e alterare gli equilibri ecosistemici e le comunità biologiche che si adattano a vivere al nostro fianco. Disporre di principi e metodi per comprendere a fondo l’impatto ecologico dell’azione umana è fondamentale per arginarlo, ma anche per progettare aree urbane ecologicamente funzionali e di supporto alle comunità biologiche che le colonizzano, con ricadute anche sulla maggiore sensibilità del pubblico verso l’importanza delle aree verdi nelle città.
Non si tratta quindi semplicemente di parchi, giardini, viali alberati e spazi ricreativi per l’essere umano, ma di vere e proprie isole di habitat, fondamentali per la sopravvivenza di chi insieme a noi abita lo spazio urbano.

I risultati del nostro studio sono consultabili su Science Direct e su Springer.


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