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“Costruire Bellezza”: un laboratorio di inclusione tra antropologia e design

© Arya Houshmand

Un laboratorio interdisciplinare permanente che promuove l’inclusione sociale attraverso processi partecipativi e creativi. Persone “senza dimora”, ricercatori e studenti universitari, operatori sociali ed educatori, artigiani e talenti creativi condividono conoscenze, competenze ed esperienze in un reciproco arricchimento.

Torino, via Ghedini 6, ore nove del mattino. L’appuntamento è davanti a un grande portone di legno. Lì, ogni martedì e giovedì, si trovano i partecipanti del laboratorio Costruire Bellezza, un gruppo eterogeneo, fatto di adulti «senza dimora», uomini, donne, persone in transizione di genere, italiani e stranieri tra i 18 e i 65 anni seguiti dai servizi sociali e inseriti in un percorso di tirocinio «socializzante». Ci sono i ricercatori che coordinano il progetto ma anche studenti di diversi corsi di laurea (design, scienze dell’educazione, antropologia) che svolgono il tirocinio curricolare o la tesi. E ancora artisti, artigiani e creativi chiamati a collaborare alle attività laboratoriali, operatori del Servizio Adulti in Difficoltà (SAD) del Comune, assistenti sociali ed educatori professionali. Costruire Bellezza è uno degli esiti sperimentali della ricerca-azione Abitare il dormitorio avviata nel 2009 dal mio Dipartimento e da quello di Architettura e Design del Politecnico di Torino in collaborazione con la Federazione Italiana delle Organizzazioni per Persone Senza Dimora, amministrazioni pubbliche ed enti del terzo settore di diverse città italiane sui temi del contrasto all’homelessness.

Dalla cucina alla falegnameria, dalla bigiotteria al wall painting. È con il supporto dei designer, guidati dal professor Cristian Campagnaro, co-responsabile scientifico del progetto, che il «fare pratico» produce oggetti belli, con il risultato che i partecipanti scoprono nuove capacità e aspirazioni. Costruire Bellezza è infatti pensato come un contesto di benessere e di co-costruzione in cui far incontrare, far dialogare e coinvolgere tramite il «fare insieme» persone con esperienze di vita, età, provenienza e competenze molto diverse tra loro. Tutti sono chiamati a un incessante esercizio relazionale che mette alla prova e sviluppa quella che il sociologo Richard Sennett chiama «collaborazione dialogica» (Sennet 2012), una competenza che deve trovare spazio tra competizione e collaborazione. In particolare, il progetto intende contrapporre il piacere della partecipazione e della collaborazione all’obbligo dell’attivazione e all’individualizzazione di stampo neoliberale che caratterizza i sistemi di welfare. Le politiche neoliberiste spostano sempre più la responsabilità sui singoli individui, senza tenere conto delle reali possibilità e capacità delle persone di agire in determinati contesti e condizioni.

Il tema della collaborazione, inoltre, non riguarda solo gli individui, ma include la costruzione di un dialogo di lungo periodo tra istituzioni, per un reale cambiamento delle prassi dei servizi di accoglienza nell’ottica del riconoscimento della dignità e dei diritti.
Attraverso la pratica del fare insieme, della negoziazione e grazie all’esperienza della bellezza il nostro contributo al processo democratico è garantire che «nessuno se ne vada con la convinzione che le sue prospettive siano state ignorate» (Graeber, 2012). Vogliamo infatti promuovere da una parte le capacità delle persone, perché siano effettivamente libere, e dall’altra quella delle istituzioni perché siano davvero efficaci. Nutrendo le aspirazioni si ampliano le reti, si riattiva il desiderio, connettendo persone ed esperienze diverse. Si partecipa così alla costruzione quotidiana della democrazia o, come la definisce Arjun Appadurai (Appadurai, 2012), della democrazia profonda.

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