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Epidemiologia, Terapie e Politiche sanitarie

5 grammi a settimana. Quando la microplastica che ingeriamo arriva dal mare

Foto: The creative exchange / Unsplash

La plastica presente nel mare è ormai un problema globale, con un crescente impatto sulla salute degli animali, essere umano incluso. Le microplastiche in particolare vengono ingerite dagli organismi acquatici e attraverso la catena alimentare arrivano direttamente sulla nostra tavola. Il problema è che questi frammenti veicolano contaminanti chimici, tra cui interferenti endocrini, che alterano le funzioni ormonali. Il nostro gruppo di ricerca utilizza modelli in vitro e in vivo per testare gli effetti delle microplastiche sul metabolismo, la capacità riproduttiva e lo sviluppo.

Otto milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno negli oceani e il 90% dei rifiuti marini (marine litter) nel Mar Mediterraneo sono plastiche. Il dato inquietante è che la quantità di rifiuti di plastica nei mari è ancora in aumento, come testimoniano le misure e le analisi di laboratorio raccontate qui e qui dai colleghi Nicola Nurra e Luca Rivoira. A seconda della loro composizione, i rifiuti in plastica impiegano dai 10 ai 500 anni per smaltirsi.

Le plastiche possono compromettere la vita degli animali marini, perché questi rimangono intrappolati o feriti; sono però le microplastiche, frammenti inferiori ai 5 millimetri, ad avere gli impatti maggiori sulla vita marina, arrivando a contaminare anche acqua dolce e aria. Esse possono essere:
- di tipo primario, prodotte dalle industrie già sotto forma di microplastiche e liberate nell’ambiente con le acque di scarico. Ne sono un esempio le microplastiche usate per la preparazione dei cosmetici, il cui commercio è stato vietato in Italia dall’inizio del 2020, o quelle che costituiscono i tessuti sintetici, che laviamo in lavatrici sprovviste di filtri adeguati per lo scarico;
- di tipo secondario, cioè derivanti dalla frammentazione di plastiche di grandi dimensioni attraverso processi di degradazione.

Dimensione, colore, forma e densità influenzano fortemente l’interazione tra frammenti di plastica e microplastiche e organismi marini, che possono confonderle con particelle di cibo e ingerirle. Le plastiche possono così accumularsi nei tratti digestivi, riducendo la possibilità di assunzione di cibo e compromettendo la sopravvivenza dell’organismo, e talvolta le microplastiche possono migrare e accumularsi in altri tessuti. Gli animali acquatici di maggiori dimensioni possono assumere le microplastiche in modo indiretto, attraverso l’ingestione di altri organismi contaminati, quindi con la catena alimentare.

Ed è proprio attraverso la catena alimentare che il “mare di plastica” costituisce un problema per la salute umana. Le microplastiche finiscono sulla nostra tavola attraverso il pesce e i frutti di mare, come i molluschi, ma anche tramite il sale marino e l’acqua; è stato calcolato che ne ingeriamo fino a 5 grammi a settimana, l’equivalente in peso di una carta di credito.

Un problema legato alle microplastiche è che esse possono contenere sostanze tossiche sotto forma di additivi e inoltre possono assorbire, accumulare e poi rilasciare molti altri contaminanti presenti nell’ambiente marino. Tra questi vi sono molecole denominate “interferenti endocrini”, che possono avere effetti nocivi sul sistema ormonale degli animali, essere umano compreso. Come abbiamo raccontato qui e qui, gli interferenti endocrini interferiscono con la normale regolazione dello sviluppo, della crescita, della riproduzione, del metabolismo, dell’immunità e del comportamento; il loro effetto dipende dalla finestra temporale di esposizione, causando danni a lungo termine soprattutto quando l’esposizione avviene durante fasi di sviluppo, come la fase embrionale e la fase puberale. Da non sottovalutare è inoltre il cosiddetto “effetto cocktail”: miscele di interferenti endocrini possono avere effetti combinatori diversi e imprevedibili, che vanno da un semplice effetto additivo (la “semplice” somma dei singoli effetti), al sinergismo (quando l’effetto risultante è qualcosa di nuovo e diverso rispetto alla semplice somma).

Recentemente il nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Camerino, ha evidenziato che microplastiche raccolte nel Mar Adriatico veicolano vari contaminanti chimici, tra cui PAH (idrocarburi policiclici aromatici), PCB (policlorobifenili) e pesticidi; abbiamo dimostrato che questi contaminanti agiscono in vitro come interferenti metabolici, cioè inducono un accumulo dei grassi in cellule in grado di differenziarsi in adipociti maturi, e potrebbero quindi portare all’obesità.
In studi futuri ci riproponiamo di validare questi dati in vivo, su animali come il pesce zebra, che permettono di tener conto della veicolazione dei contaminanti, della loro interazione e degli effetti sull’organismo a breve e lungo termine.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Erika Cottone
Astrid Saraceni
Rosaria Scandiffio
Patrizia Bovolin
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

11 marzo 2021

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