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Infezioni e difese

Immunoterapia dei tumori, il “farmaco” più potente è dentro il nostro corpo

Foto: pexels.com

La ricerca di terapie innovative e personalizzate è l’obiettivo e il desiderio di oncologi, ricercatori e pazienti. Di fronte a questa prospettiva, oltre alla possibilità di nuove sostanze farmacologiche nel senso comune del termine, possiamo immaginare un nuovo approccio dove la terapia è fondata sulla riattivazione del nostro sistema immunitario. Su questo si basa l’immunoterapia, e la nostra attività di ricerca: risvegliare i globuli bianchi che il tumore è riuscito ad “addormentare”, o addirittura istruirli a proprio vantaggio, e renderli capaci di riconoscere e uccidere il tumore.

La “terapia è dentro di noi”: cosa significa? Potrebbe sembrare uno di quei concetti da psicologia “fai da te”, eppure, se parliamo di immunoterapia, questo è letteralmente e biologicamente vero. Il “farmaco” è dentro di noi ed è costituito dal sistema immunitario e più precisamente da quei globuli bianchi chiamati linfociti. Il sistema immunitario è un complesso insieme di cellule e altre strutture che lavora costantemente, sin da prima della nostra nascita, per proteggerci dalle infezioni.

Forse meno noto è invece il ruolo attivo del sistema immunitario nella lotta alle cellule tumorali che possono formarsi nel nostro corpo. Si tratta della cosiddetta “immunosorveglianza”, la capacità di riconoscere ed eliminare cellule alterate del nostro organismo che, se libere di crescere, potrebbero dare origine a tumori.

Se questo meccanismo funzionasse sempre non ci sarebbero casi di tumori, ma purtroppo sappiamo che non è così. Cosa succede allora in un paziente che sviluppa un tumore? I processi alla base dell’insorgenza dei tumori sono molteplici e in parte non noti. Quello che è rilevante per la nostra storia è che, almeno in molti casi, i tumori riescono in qualche modo a nascondersi al sistema immunitario o addirittura ad “addormentarlo”, stordendo e rendendo inoffensivi i linfociti che si avvicinano per distruggerlo.

È qui che entra in gioco la nostra protagonista, l’immunoterapia. Questa forma di cura sta rivoluzionando il modo di trattare i tumori e - la sensazione è condivisa tra gli oncologi e gli scienziati - la storia è solo all’inizio. È forse l’esempio più attuale di innovazione, unita alla personalizzazione della ricerca e della cura.

Come funziona? Essenzialmente secondo due modalità.

La prima si basa proprio sulla recente scoperta (valsa il Nobel per la medicina nel 2018) di alcuni meccanismi importanti con cui i tumori “addormentano” i linfociti. Identificato il problema, il passo naturale è stato quello di produrre in laboratorio degli anticorpi in grado di neutralizzare questi meccanismi con l’obiettivo, come nelle vecchie fiabe, di risvegliare i “linfociti addormentati” e permettergli di attaccare il tumore. Questi anticorpi, noti come “inibitori di checkpoints”, sono adesso una realtà nella terapia di tumori metastatici prima considerati incurabili, Gli studi in corso sono tantissimi e hanno tutti l’obiettivo di testarli per cercare di ottimizzare i risultati e ridurre gli effetti tossici. I linfociti “risvegliati”, infatti, potrebbero in alcuni casi “confondersi” e attaccare, oltre ai tumori, anche organi sani, come succede nelle malattie autoimmuni.

La seconda modalità, forse per certi versi ancora più avveniristica e di precisione, è l’immunoterapia cellulare. Abbiamo detto che il farmaco (i linfociti) è dentro di noi. Il principio di questa strategia consiste proprio nel “raccogliere” letteralmente i linfociti dei pazienti, addestrarli in laboratorio a riconoscere e uccidere i tumori e restituirli ai pazienti. Noi stiamo lavorando in particolare all’ingegnerizzazione dei linfociti con recettori antitumorali specifici chiamati CAR (acronimo per “chimeric antigen receptor”). Ingegnerizzare significa modificare, manipolare un globulo bianco, che magari era destinato a fare altro, come combattere un virus, e arruolarlo (forzatamente) in un esercito contro il tumore. Nella pratica, in laboratorio si inserisce un recettore (immaginiamolo come una piccola antenna) su questi linfociti, che li rende in grado di riconoscere dei bersagli specifici del tumore, con conseguente attacco e sua distruzione.

Questa strategia, nota come CAR-T, sta diventando una realtà applicata nella cura di alcuni tumori del sangue come leucemie e linfomi aggressivi. La sfida della ricerca, alla quale anche noi stiamo partecipando, è di studiare in laboratorio il modo di estenderla anche a tumori cosiddetti “solidi”, cioè quelli che interessano gli organi e tessuti del corpo (per esempio i melanomi, i sarcomi, i tumori ginecologici ecc).

Immaginando un prossimo futuro, la speranza è che si possano generare delle terapie personalizzate dove, partendo più o meno da un prelievo di sangue, i linfociti dei pazienti possano essere addestrati e re-indirizzati in maniera specifica verso i propri tumori

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Dario Sangiolo
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

03 novembre 2021

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