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Malattie e prevenzione

Come in uno-due nel pugilato: le terapie per colpire diversi bersagli da dentro il tumore

Foto: pexels.com

Una delle classiche definizioni del tumore sottolinea come le cellule tumorali possano “impazzire”, crescendo in maniera incontrollata e acquisendo caratteristiche sempre più aggressive che permettono loro di infiltrare e invadere altri tessuti. Le cellule tumorali acquisiscono però un’ulteriore capacità, che rivela la loro natura intelligente ma subdola: attraverso il costante rilascio di messaggi riprogrammano l’ambiente che le circonda, il cosiddetto microambiente tumorale, che a sua volta supporterà il tumore stesso nella sua crescita.

Sono sempre stata affascinata dal loop di interazioni che si vengono a creare tra le varie popolazioni cellulari e ho deciso così di dedicare la mia linea di ricerca ad approfondire la conoscenza dei principali attori del microambiente tumorale in uno specifico tipo di tumore, il melanoma.

La grande eterogeneità all’interno del microambiente tumorale ne rende però difficile la comprensione. In questa tela complicata possiamo osservare come i vasi sanguigni vengano utilizzati e sfruttati dal tumore per nutrirsi. Oppure come le cellule immunitarie che dovrebbero combattere il tumore, vengano invece educate a diventare alleate del tumore stesso. O ancora come i componenti della matrice cellulare possano da un lato servire come supporto fisico per la crescita tumorale mentre la loro alterazione riesca a permettere l’invasione ad altri tessuti.

Tuttavia, tutti questi elementi interagiscono tra loro attraverso un equilibrio dinamico, e la conoscenza dei meccanismi cellulari e molecolari che li controllano permette di spostare questo equilibrio nella direzione desiderata. Il nostro intento è quello di creare un microambiente tumorale favorevole a combatterlo, che quindi non sostenga ulteriormente lo sviluppo del tumore, anzi lo prepari a ricevere specifiche terapie, come l’immunoterapia, che altrimenti non risulterebbero funzionali.

Negli ultimi anni i farmaci cosiddetti checkpoint inhibitor hanno costituito una grande promessa per il trattamento di diversi tipi di tumore. La loro azione si basa sulla capacità di ripristinare le funzionalità degli elementi più specializzati del sistema immunitario, i linfociti CD8+, togliendo loro quel “freno” che il tumore stesso aveva inserito. Essendo una forma di terapia target però funziona solo se effettivamente è presente il bersaglio da colpire e quindi solo nei tumori effettivamente infiltrati da linfociti. In altri casi è necessario invece modificare dall’interno il microambiente tumorale e trasformare un tumore “freddo” (poco sensibile all’azione dell’immunoterapia perché poco infiltrato da linfociti) in un tumore “caldo” che invece presenta un alto grado di infiltrazione delle cellule del sistema immunitario. Solo in questo modo l’immunoterapia sarà in grado di “sbloccare” le cellule dell’immunità, che acquisiranno nuovamente la capacità di eliminare le cellule tumorali.

Quello che possiamo quindi raccontarvi è non solo come nello studio dei tumori sia fondamentale la conoscenza della composizione, della proporzione e dello stato funzionale dei vari elementi che formano il tumore ma anche come i meccanismi cellulari e molecolari che li regolano e governano perché ogni terapia produrrà una risposta orchestrata tra tutti i protagonisti di questo piccolo ma estremamente complesso micro-mondo.

L’obiettivo è quello di disegnare strategie mirate in cui si combinino farmaci con azione differente, in modo da colpire e indebolire il tumore su più fronti. Come se sferrassimo un uno-due durante un incontro di pugilato.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Valentina Comunanza
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

04 novembre 2021

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