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Terra e Oceani

Microalghe come macchina del tempo per esplorare la storia degli oceani

"Umbilicosphaera rotula". Coccoliti al microscopico elettronico a scansione. Foto: Marcello Natalicchio

Alcune microalghe marine, organismi unicellulari che rivestono la cellula con i coccoliti (placchette calcaree), reagiscono velocemente ai cambiamenti climatici attuali. Studiare i loro fossili ci aiuta a conoscere i paleoclimi, a capire i cambiamenti presenti e migliorare la previsione di quelli futuri.

Gli oceani sono popolati da una incredibile varietà di organismi unicellulari. Tra questi vi è il fitoplancton che produce ossigeno, svolgendo un ruolo paragonabile a quello delle foreste sui continenti. Tra il fitoplancton, i coccolitofori (alghe unicellulari) producono uno scheletro sferico formato da placchette di calcite di pochi micrometri (milionesimi di metro) e di forme molto diverse, i coccoliti, contenuti a centinaia di migliaia in piccolissime quantità di sedimento. Si tratta di oggetti bellissimi, ed è impossibile non sentirsi elettrizzati quando li si osserva al microscopio. Ma sono anche utili. Oltre a essere di grande importanza per la regolazione dei cicli biogeochimici di carbonio e ossigeno sulla Terra, grazie al loro elevato potenziale di fossilizzazione e alla loro capacità di reagire ai cambiamenti climatici, studiarli significa ascoltare le “voci” del passato, leggere il tempo geologico, ricostruire il paleoclima e la paleoceanografia di intervalli cruciali della storia del pianeta Terra, e ci aiuta infine a capire i cambiamenti climatici attuali.

Inizialmente sono stati usati per datare il registro sedimentario (la storia geologica racchiusa negli strati di sedimento), sfruttando i principi della stratigrafia e dell’evoluzione biologica. Poi, dagli anni 80 del ‘900, si è iniziato a capire come i coccolitofori abbiano interagito con l’ambiente marino e come siano stati influenzati, per esempio, dall’innalzamento della temperatura, dalla disponibilità di nutrienti, dall’acidificazione degli oceani.
Studiare i coccoliti fossili permette di avere una speciale macchina del tempo che ci aiuta a capire i cambiamenti ambientali del passato. Li troviamo in sedimenti freschi, prelevati con i carotaggi oceanici, oppure anche in affioramenti più accessibili, di successioni marine antiche che ora si trovano sui continenti grazie alle forze della geodinamica che li ha sollevati. La collina di Torino, il Monferrato e le Langhe costituiscono uno di questi siti privilegiati, in cui affiorano rocce vecchie fino a circa 55 milioni di anni fa, periodo che corrisponde all’Eocene. È qui, e in particolare vicino a Marmorito (AT), che insieme a colleghi dell’Università di Yamagata, abbiamo studiato le diatomiti, rocce che contengono numerosissime diatomee - anch’esse microalghe del fitoplancton che però costruiscono uno scheletro siliceo - ma anche numerose specie di coccoliti. Abbiamo così ritrovato la Tergestiella adriatica, una specie di coccolite a lungo ritenuta estinta a partire dal Cretaceo; la stessa specie è stata recentemente ritrovata anche nelle acque costiere della Croazia e del Giappone, dimostrando di esser sopravvissuta a una delle principali crisi biologiche avvenute sul nostro pianeta, quella che, per capirci, nel Cretaceo appunto, ha provocato l’estinzione dei dinosauri. Questo ritrovamento ci può aiutare a capire come questi organismi, adattati alla vita in mare aperto, rifugiandosi in ambienti più vicini alla costa, siano riusciti a superare drammatiche crisi ambientali che hanno portato alla completa estinzione della maggior parte dei loro simili, ma anche di organismi marini di grande successo evolutivo (come le ammoniti, i molluschi che ci hanno lasciato bellissimo fossili a forma di spirale).
Studi come questo consentono di ipotizzare alcuni scenari sul futuro dei coccolitofori, e, insieme ad altri studi, contribuire a disegnare possibili scenari sull’evoluzione geologica e biologica della Terra.


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un racconto di
Francesca Lozar
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

30 maggio 2019

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