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Terra e Oceani

Dal passato delle montagne, il presente e il futuro del clima che cambia

fig. 1 - Panorama della catena Himalayana dal Mera La in Nepal. Le rocce sorgenti di CO2 sono abbondanti a diversi livelli strutturali;
fig. 2 - Rocce a silicati di calcio in Himalaya, hanno prodotto CO2 per reazioni di decarbonatazione;
fig. 3 - Marmo dolomitico delle Alpi Occidentali, ha prodotto CO2 per processi di dissoluzione (immagine in catodoluminescenza).

Anche i processi geologici del nostro pianeta producono CO2. Pur trattandosi di una percentuale ridotta rispetto a quella di origine antropica, conoscere a fondo questi processi è fondamentale per capire la loro influenza sui cambiamenti climatici a scala globale. È questo lo scopo di una nostra nuova attività nell’ambito di un Progetto PRIN2017.

Se da parecchio tempo è noto che l’attività vulcanica produce CO2 (più di 540 megatonnellate all’anno; Burton et al., 2013), i flussi di anidride carbonica di natura non-vulcanica sono molto meno conosciuti. È da poco infatti che gli studi mirati a quantificare il contributo della Terra al bilancio globale di CO2 considerano anche il contributo del ciclo metamorfico del carbonio, cioè come il carbonio è prodotto e/o fissato dal/nel nostro Pianeta durante la formazione delle montagne. Di recente, petrologi e geochimici hanno dimostrato che le catene montuose ancora attive (come Himalaya, Alpi o Appennini) producono quantità rilevanti di CO2, potenzialmente dello stesso ordine di grandezza di quelle misurate in superficie sui vulcani. Pur trattandosi di percentuali ridotte rispetto a quella prodotta dalle attività antropiche, tanto che sono state per molto tempo considerate come del tutto irrilevanti a livello globale, è ormai chiaro che una conoscenza dettagliata del ciclo del carbonio a lungo termine, che comporta il lento scambio di carbonio tra le rocce e la superficie terrestre, è di fondamentale importanza per comprendere i processi che controllano i cambiamenti climatici a scala globale.

Per quanto riguarda le montagne prive di vulcani, occorre per esempio capire meglio quali processi regolano la produzione, la mobilizzazione e il trasporto del carbonio dalla crosta terrestre alla superficie, nelle diverse catene montuose della Terra. In questi contesti, fluidi contenenti CO2 possono essere prodotti attraverso tre processi principali: reazioni di decarbonatazione, dissoluzione di carbonati e ossidazione di grafite. Il contributo relativo di questi tre processi, tuttavia, non è noto, perché dipende da una serie di fattori come la profondità alla quale si producono i fluidi, la presenza di fluidi esterni che possono favorire alcuni di questi processi e inibirne altri, e il tipo di rocce coinvolte.

Dal mese di novembre 2019, cercheremo di scoprire l’importanza che questi processi hanno avuto in passato per la produzione di CO2, durante la formazione di due catene montuose molto distanti tra loro: le Alpi e l’Himalaya. Queste due catene hanno un’età molto simile (sono entrambe “giovani” e “attive”), ma sono molto diverse tra loro sia per le dimensioni che per le condizioni di temperatura e pressione alle quali si sono formate: le Alpi sono “piccole e fredde” mentre l’Himalaya è “grande e calda”.
L’obiettivo è studiare i processi avvenuti nel passato (da circa 50 a circa 30 milioni di anni fa) per comprendere ciò che avviene attualmente a profondità superiori a 30-40 km, troppo elevate per poter essere investigate direttamente con sondaggi o perforazioni. La ricerca sarà svolta nell’ambito del Progetto PRIN2017 Connect4Carbon: Carbon cycling and Earth control on the livable planet: connecting deep key carbon sources to surface CO2 degassing by transfer processes, di cui UniTo fa parte insieme alle università di Milano Bicocca, Palermo, Perugia e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Compito specifico dell’Unità di Torino sarà investigare i processi di produzione, trasferimento, fissazione e degassamento della CO2 in diverse catene montuose attive e correlare i flussi di produzione di CO2 stimati per il passato con quelli attualmente misurati in superficie, negli acquiferi o direttamente dal suolo. 

Gruppo di lavoro: Simona Ferrando, Franco Rolfo, Daniele Castelli e i dottorandi Andrea Maffeis e Shashi Tamang

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Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Chiara Teresa Groppo
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

29 ottobre 2019

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