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Gocce di memoria. Nell'acqua delle rocce, l’evoluzione di un Pianeta

Monte Cervino. Foto: Angelo Burgener / Unsplash

Nelle rocce formatesi per l’evaporazione di acqua marina, sono stati trovati microrganismi ancora in vita intrappolati in piccolissime cavità da centinaia di migliaia anni. Lo studio di queste cavità, contenenti acqua o gas, può aiutarci a scoprire e descrivere ambienti estremi di vita microbica, a fornire nuove conoscenze sull’evoluzione passata e futura del nostro Pianeta e sulle sue risorse economicamente rilevanti, come quelle minerarie e l’energia geotermica. Le affascinanti implicazioni di questi studi si estendono ad ambienti extraterrestri.

Cosa c’è di più solido in una roccia?
Eppure ogni roccia presenta - all’interno dei minerali che la costituiscono - delle cavità di grandezza micrometriche contenenti, in volumi minori ma relativamente importanti, soluzioni acquose o sostanze volatili, come l’anidride carbonica (CO2), l’idrogeno gassoso (H2), e il metano (CH4) (Fig. 1). Trattandosi, più in generale, di stati fluidi della materia, i geologi definiscono inclusioni fluide (IF) queste microcavità.

Lo studio delle IF è molto importante perché è il solo in grado di fornire informazioni dirette sui fluidi che circolavano in una determinata zona  del nostro Pianeta (ma anche di altri pianeti solidi) nel momento in cui il minerale li ha intrappolati (Fig. 2). Questo studio, largamente utilizzato nell’esplorazione dei giacimenti minerari (Moroni et al., 2019) e delle fonti energetiche (idrocarburi, geotermia), ha permesso di identificare, anche grazie agli “inclusionisti” torinesi, la presenza di acqua in contesti geologici un tempo impensati e, in alcuni casi, di caratterizzare ambienti estremi di vita microbica.

Per molto tempo si è ritenuto infatti che a profondità comprese tra 50 e 150 km, la crosta e il mantello terrestre fossero anidri (privi di acqua) perché le rispettive rocce (che per i movimenti tettonici della Terra ora troviamo in superficie, per esempio nelle catene montuose; Fig. 1) erano apparentemente prive di IF oppure, se presenti, contenevano CO2 e altri gas. Recenti studi hanno invece trovato una sottile pellicola di acqua intorno a IF gassose in rocce di mantello (Frezzotti et al., 2010) e la presenza di strane IF (ricche di minerali oltre che di acqua e gas) in rocce discese a oltre 100 km di profondità (Frezzotti e Ferrando, 2015). La presenza di soluzioni acquose in queste rocce profonde ha un ruolo rilevante per capire come avviene il lento ciclo degli elementi chimici che dalla superficie terrestre sono portati a elevata profondità e poi risalgono grazie ai vulcani (Ferrando et al., 2019).

Le IF risultano rilevanti anche per lo studio della vita microbica in “ambienti estremi” della Terra, con implicazioni sulla possibile presenza di vita altrove nello spazio. Durante l’apertura e la chiusura degli oceani (espansione del fondale oceanico), la presenza di acqua calda promuove reazioni chimiche che, producendo metano e idrogeno, possono costituire un incubatore per la vita microbica anche a profondità di 10 km al di sotto del livello del mare (McDermott et al., 2015; Plümper et al., 2017). Nella famosa Death Valley californiana, il processo di evaporazione di un antico bacino continentale (mare chiuso) ha, invece, portato alla formazione di inclusioni fluide intrappolate in cristalli di sale dove sono stati trovati microorganismi ancora in vita, dopo ben 150mila anni (Lowenstein et al., 2011)!

Un simile processo di evaporazione, ma avvenuto oltre 5 milioni di anni fa, è ritenuto la causa della deposizione di spessi strati di gesso (solfato idrato di calcio) che si trovano disseminati in tutto il bacino del Mediterraneo. Tuttavia, il recente ritrovamento in questo gesso di IF poco saline (fluido incompatibile con un processo di elevata evaporazione marina; Natalicchio et al., 2014) associate alla presenza di fossili di batteri solforiduttori (in grado di produrre alte concentrazioni di solfati componenti del gesso, appunto) apre scenari inaspettati: è cioè possibile che almeno una parte del gesso presente nel Mediterraneo si sia formato anche per mezzo di un processo dovuto al metabolismo di esseri viventi (precipitazione biotica) e non solo da evaporazione (precipitazione abiotica) (Dela Pierre et al., 2014).

Il Dipartimento di Scienze della Terra (DST) è partner del progetto europeo FluidNET che finanzia 12 dottorati triennali che studieranno i flussi dei fluidi acquosi a diversi livelli crostali per modellizzare la loro circolazione all’interno della crosta terrestre e fornire nuove conoscenze per l’esplorazione di risorse economicamente rilevanti come quelle minerarie e l’energia geotermica.
Il DST è anche co-organizzatore del congresso internazionale on line e-CROFI 2021 (European Current Research On Fluid Inclusions) ed è organizzatore del congresso on site ECROFI Torino 2025.


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Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Simona Ferrando
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

08 aprile 2021

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